demenza non è un insulto, è una parola medica, come l’influenza. Nel linguaggio comune va bene parlare di persona con demenza, ma è ancora meglio parlare del ‘signor Giuseppe’, così gli restituiamo pienamente la propria identità di persona, che non è solo una persona malata, ma qualcuno con una propria storia, con un proprio carattere.”
     L’abbinamento di questi due gruppi, quello dei pazienti con quello dei familiari, è una innovazione oppure è una prassi procedurale?
     “È un’innovazione in generale, ma non per me; io mi occupo di persone con Alzheimer, intendo tutte le persone con demenza, sia persone con una diagnosi di Alzheimer sia con diverse tipologie di demenza, demenza ischemica, demenza frontale e tante altre tipologie. Me ne occupo a tutto tondo, ovvero pazienti, familiari ed operatori delle RSA, nei centri diurni e nell’assistenza domiciliare. All’inizio facevo le cose separatamente, ho cominciato con le conversazioni individuali con i pazienti, poi li ho portati in gruppo, fino a formare gruppi ABC per i familiari; l’approccio capacitante veniva utilizzato e proposto in due contesti diversi, così ho pensato che sarebbe stato meglio fare contemporaneamente la stessa cosa e mi sono accorto che non potevo fare tutto da solo, quindi ho deciso di tenere dei corsi di formazione per gli operatori. Ora ci sono altri operatori in grado di condurre i gruppi di ABC per i familiari; quest’anno è la quarta edizione, mentre si stanno formando gruppi ABC in tutta Italia. In Sicilia c’è una mia allieva che sta conseguendo un dottorato di ricerca di tre anni sui gruppi ABC.”
     “Questo è il secondo ciclo in cui noi organizziamo due gruppi in parallelo nell’ambito di un progetto di intervento e insieme di ricerca chiamato ‘parlare si può’; il primo gruppo lo chiamo ‘gruppo di riconoscimento con i pazienti’, mentre il secondo ‘gruppo ABC’ con i familiari; al termine dei sei incontri prepariamo una riunione comune in cui i pazienti possono parlare e i familiari si rendono conto che chi è ammalato può parlare se inserito in un ambiente capacitante, anche se in una situazione difficile come quella di gruppo, mentre loro stessi possono mettere in pratica quei dodici passi che hanno imparato durante il gruppo ABC. Nell’ultimo incontro ci sono state delle testimonianze bellissime. Un signore anziano, che era presente con la moglie malata di Alzheimer e la figlia, mi ha detto: ‘ecco qua, ho imparato a non interrompere e non correggere, invece io per tutta la vita correggevo e interrompevo, ero abituato a farlo con mia moglie e non solo con lei ma anche con mio figlio, che ha 36 anni e non ha l’Alzheimer, ma altri problemi di malattia, ha delle difficoltà relazionali di linguaggio e non ha ancora raggiunto l’autonomia nonostante abbia 36 anni, io per tutta la vita ho

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