ESTERNAZIONI ESTIVE
                                  di Gaudenzio Rovaris

     Anche durante le vacanze bisogna tenere desta l’attenzione. A Roma quando si voleva “chiudere gli occhi” al popolo si proponeva “panem et circenses” (pane e giochi nel circo). Da noi nelle pagine dei quotidiani e delle varie Tv troneggia il gossip: “l’attricetta ha un nuovo compagno”, “quello è un immorale”, “io non sono un santo”, “la escort candidata al parlamento europeo”, i festini, le esternazioni e via di seguito. Nel frattempo si parla di ordine pubblico, di inasprimenti delle sanzioni, di gabbie salariali, di introduzione del dialetto nelle scuole, di sostituzione di inni nazionali… È il periodo dei meeting e delle feste dei partiti: PD clima precongressuale; meeting di CL a Rimini; PDL, le feste delle libertà; la Lega con il rituale viaggio dal Monviso a Venezia; IDV a Vasto; UCD a Chianciano; UDEUR a Telese; Sinistra e libertà a Napoli (l’elenco è tratto da un articolo de “L’Eco di Bergamo del 20 agosto, pagina 5). Ci sono proprio tutti!
     Dai quotidiani non emergono temi diversi dai soliti se non le esternazioni provocatorie bossiane di una sostituzione dell’inno di Mameli con il “Va pensiero” di Verdi o l’introduzione obbligatoria dell’insegnamento del dialetto nelle scuole. Su queste due esprimo il mio punto di vista. Credo che un inno nazionale non debba essere sostituito a cuor leggero; in effetti può essere considerato “brutto e bellicoso” (Rina Gagliardi di Rifondazione comunista…); il testo è particolarmente inadeguato ai nostri giorni, ma la musica è quella che ha sempre accompagnato le manifestazioni nazionali ed internazionali. Non sono sicuro, ma credo che un cambiamento simile non sia mai avvenuto in uno stato moderno. Se proprio si volesse essere riformatori si potrebbero cambiare le parole; ma come possiamo pensare che i nostri politici riuscirebbero a mettersi d’accordo quando per principio ciò che compie o dice la maggioranza è sbagliato per l’opposizione e viceversa? Penso che in un momento socioeconomico come quello che stiamo attraversando bisognerebbe impegnarsi a cambiare le regole di una globalizzazione selvaggia più che l’inno nazionale.
     Per quanto riguarda il dialetto su queste pagine ho scritto in sua difesa (“Il recupero dei dialetti” - marzo 2005) dove scrivevo: “Come è difficile oggi salvare queste espressioni tipiche di fronte a messaggi globalizzanti, inglesizzati e via di seguito. Con tristezza mi rendo conto che i miei figli e i miei alunni le hanno perse quasi completamente e che, quando ne ricordo alcune, ne sono entusiasti. Il mondo tende a diventare globale e a renderci sempre meno noi stessi: la maggior parte della popolazione delle periferie delle nostre città in questi ultimi tempi si è gradatamente arricchita di cittadini provenienti da altre regioni e di numerosi immigrati stranieri di varie nazionalità, che hanno portato le loro abitudini e le loro culture, arricchendoci

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