quasi come la celebrazione di una tragedia annunciata e che poteva essere evitata. Non si vuole certo strumentalizzare un fatto devastante ed invasivo nell’immaginario collettivo qual è il terremoto, ma semplicemente riflettere su una irritante consuetudine che si rinnova ogni qual volta si assiste alla ribellione della natura. Limitare gli effetti distruttivi di eventi naturali estremi è chiaramente l’obiettivo che uno Stato dovrebbe perseguire, ma assistere alle contestazioni di protocollo che riempiono spazi televisivi e pagine di giornale è aspetto che può essere condiviso fintantoché non sconfina in uno scontato qualunquismo.
     L’informazione chiaramente sguazza in questa palude di debordante polemica entrando nelle case degli italiani per narrare tragedie strappalacrime così ovvie da apparire quasi offensive per coloro che le subiscono e per catturare immagini letterarie solo per acquisizione di consenso televisivo. Del resto, l’enfasi di questo atteggiamento mediatico e, soprattutto, il compiacimento dell’effetto-notizia sono stati colti dall’occhio attento di Aldo Grasso, il quale, nel proprio editoriale, stigmatizzava la politica del direttivo RAI di aver consentito la fredda elencazione delle percentuali di ascolto del popolo televisivo riguardo i collegamenti con le aree terremotate, dando chiara dimostrazione che il gradimento dell’utenza, misurato in termini di audience e di presenze, è un dato al quale mamma-televisione è fortemente interessata a prescindere dall’argomento trattato. Ma nel mondo dell’informazione protesa ad istruire processi con la benedizione dei media, a celebrare eventi, a narrare tragedie e a sublimare la sofferenza come fosse mito, anche il dramma del singolo assurge a fatto rilevante soprattutto se accompagnato da una coreografia accessoria che ne esalti l’aspetto fortemente emotivo.
     Nessuno dei grandi “colonnelli” dell’informazione televisiva ha avvertito l’umana esigenza di arginare il flusso implacabile dei collegamenti che vomitavano l’ovvietà di fatti spingendo la tragedia del terremoto in un alveo di buoni propositi, utili a testare il sempre gettonato argomento della solidarietà e della bontà nazionale, sentimenti talmente scontati da diventare pretesti per far trionfare ancora una volta, in un Paese attraversato da idee e spinte giacobine, l’accattivante buonismo del popolo che improvvisamente si ritrova stringendosi intorno alle tragedie dei propri connazionali ed oltrepassando diversità culturali e territoriali. Che i media rappresentino lo strumento che veicola l’attenzione dell’opinione pubblica, necessaria per contrastare la drammaticità della morte, è fuori di dubbio, ma questa funzione, nell’inarrestabile e sempre maggiore

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