dalla valutazione di fattibilità di simili impianti e nella speranza che anche le fonti alternative divengano conquiste acquisite, sta nel fatto che la collettività è atterrita principalmente dall’idea dei potenziali rischi ambientali connessi alle avarie delle centrali nucleari e secondariamente dai non sempre trasparenti sistemi di stoccaggio delle temibili scorie di lavorazione.
     Il problema va, a mio parere, scisso: la sicurezza degli impianti è una conquista ormai assodata e la possibilità che si verifichi una seconda Chernobyl è una ipotesi assai remota. Il disastro di Chernobyl avvenne in un contesto alterato dalla disgregazione dell’ex colosso sovietico e quindi in un momento in cui le procedure di controllo erano sicuramente deficitarie e non adeguate alla gestione di un simile impianto. Il problema più significativo riguarda, invece, la questione dello smaltimento delle scorie, che si configura più come una questione economica che tecnica, ma che comunque credo sia gestibile e risolvibile nel momento in cui si dovesse effettivamente tornare “all’antico”. In ogni caso, la demonizzazione dell’energia nucleare, che nasce dalle tragedie della seconda guerra mondiale, rappresenta una delle più gravi mistificazioni culturali di tutti i tempi ed è su questo fronte che va scardinato un generalizzato scetticismo ancora imperante. Proprio la demonizzazione, coniugata ad una consapevole disinformazione collettiva, ha impedito un adeguato sviluppo delle centrali nucleari e ha fatto perdere, in particolare all’Italia, un formidabile primato tecnologico nella costruzione di presidi sicuri. Se poi si aggiungono i valori record del prezzo del greggio, ormai proiettati verso una incontrollata spirale di crescita quotidiana e chiari indicatori di massicce speculazioni di affaristi e multinazionali, non si può, a maggior ragione, prescindere da un rimedio che, per quanto osteggiato, rimane l’unico percorribile nel breve termine.
     La fase acuta della crisi energetica mondiale può essere superata o quantomeno controllata facendo ricorso proprio a quelle forme di produzione di energia oggi immediatamente accessibili, come il nucleare, quantomeno per tutto ciò che non è strettamente connesso alla lavorazione del petrolio e dei suoi derivati. L’Italia deve, pertanto, uscire dallo stato di schiavitù energetica in cui si trova, ma per far questo non ha altra scelta che riattivare, in tempi brevi, le centrali nucleari per soddisfare il fabbisogno nazionale anche al fine di aggirare quella altrettanto fastidiosa e pericolosa situazione umorale che periodicamente spinge i Paesi leader nel campo dell’energia a rinegoziare i prezzi a fronte di minacce di tagli delle forniture. Si tenga poi conto che le preoccupazioni

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