giustificavano, con la poca volontà di alcuni partiti, l’insuccesso dei tecnici ed il fallimento di una classe politica incapace di preoccuparsi del bene comune e incapace di ringiovanirsi… (detto dal lattante… che è nei sacri palazzi da una vita).
     In effetti siamo stati assillati dal duello Bersani-Renzi, poi dalla resurrezione di Berlusconi, poi dal dubbio amletico del professore, che dopo avere sbandierato a quattro palmenti ed in ogni sede che la sua esperienza politica si sarebbe conclusa alla scadenza del mandato, dopo aver “bacchettato” i suoi tecnici che si erano lasciati ammaliare dalle sirene dei vari schieramenti, è oggi tentato di ridiscendere in campo per il bene del Paese (irriverentemente, permettetemi, come Berlusconi).
     Quanto quel discorso mi ha richiamato il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con le sue massime condensabili in un bisogna che tutto cambi perché resti tutto uguale… E come continuiamo ad affannarci in ogni occasione a difendere le nostre idee politiche, a commentare come ogni volta alla vigilia delle elezioni gli interventi mirati dei vari magistrati indipendenti e l’operato della Guardia di finanza, che solo in qualche momento si rendono conto dello schifo che ci guida. Mi ricordo un simpatico impresarietto dilettante (era il suo secondo lavoro in nero oltre a quello di dipendente statale, ma era una realtà comune anni fa che quasi tutti gli operai completassero il magro salario con occupazioni “in nero” di vario tipo) che, un po’ alla volta, ha trasformato una tettoia nella periferia di Bergamo in un bell’appartamento su tre piani confinante con quello di un vigile urbano, che non ha visto alcunché pur essendo al nord e non in Italia meridionale… Quell’impresarietto non era un politico e non interessava intervenire contro di lui. Tanto poi ci ha pensato un condono… E non c’erano ancora i Tremonti o i Berlusconi con lo scudo fiscale…
     Le parole sempre più pesanti di Napolitano mi hanno richiamato lo sguardo intenso, ma rassegnato, di un Burt Lancaster nel difficile e complesso ruolo del principe di Salina ne “Il Gattopardo”, di Luchino Visconti; ma anche la sua onestà nel rifiutare l’offerta di un posto nel senato piemontese e il suggerimento all’ambasciatore della missiva da Torino di rivolgersi a don Calogero Sedàra, un uomo di modeste origini e borghese profondamente patriottico, il famoso homo novus dei latini, pronto per l’escalation politica proprio come vediamo nel canto sesto del Purgatorio dantesco nella triste satira dell’Alighieri: “Fiorenza mia, ben puoi esser contenta/ di questa digression che non ti tocca,/ mercé del popol tuo che si argomenta.// Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca/ per non venir

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