che riproducono appunto il valore spirituale dell'arca della salvezza; la sua forma è simile a quella della falce lunare, che nella sua fase crescente porta in sé il germe della vita e della riproduzione degli esseri, e per questo diventa nelle religioni mesopotamiche, dopo il neolitico e con la scoperta dell'agricoltura e dei ritmi vitali della Terra, uno dei segni distintivi della Grande Madre celeste (la si ritroverà ai piedi della Madonna nelle raffigurazioni cristiane, anche sotto forma di conchiglia).
     Il linguaggio dei simboli non ha mai convinto i cacciatori di reliquie e di avventure, gli alchimisti che cercano sempre di tradurre l'oro dei filosofi in vera moneta sonante. Si doveva andare sulla vetta dell'Ararat a tutti i costi, a cercare i segni tangibili della storia di Noè.
     La serie interminabile degli Indiana Jones alla ricerca dell'Arca perduta ebbe inizio nel 1707, con la spedizione del nobiluomo francese Pitton de Tournefort, passato alla storia dell'alpinismo come il primo conquistatore certo dell'Ararat. Da allora, le ascensioni si moltiplicarono ed è interessante notare che per quasi due secoli, nonostante i successi degl'intrepidi signori europei muniti di corde e piccozze, le genti del posto continuarono fermamente a negare che qualcuno avesse mai raggiunto veramente la cima del monte. Quando, nel 1876, l'inglese James Bryce dichiarò all'archimandrita del monastero di Echmiadzin di aver compiuto quell'impresa, si sentì rispondere in tono di scherno: “Non vi credo, perché la cosa è semplicemente impossibile.”
     In ogni caso, mai fu trovata traccia alcuna del passaggio di Noè e del suo eletto bestiame. Si diffusero, questo sì, mirabolanti storie di scoperte e di visioni prodigiose, come nei racconti di chi affermò di aver visto la biblica nave sepolta nel ghiaccio, similmente a un mammuth siberiano o a un vascello fantasma ibernato, ma sono allucinazioni degne dei film di Walt Disney o simili a quelle fiorite dopo il 1934 intorno al mostro di Lochness.
     Anche quell'epoca visionaria sembra attualmente tramontata. Molto più banalmente, oggi si parla di trekking organizzato e di pacchetti turistici “all inclusive”, che risolvono senza difficoltà anche lo scoraggiante problema delle lunghe formalità burocratiche necessarie per affrontare la scalata. E speriamo che ai turchi non venga in mente la stessa idea concepita dai cinesi, i quali sarebbero intenzionati, a quanto pare, a costruire una specie di autostrada ad anello, magari con un autogrill ogni dieci chilometri, intorno al sacro monte Kailash, per agevolare il flusso rituale dei pellegrini indiani e tibetani e dei turisti occidentali.
     Sono questi i delitti che Dio dovrebbe punire inviando sulla Terra qualche nuovo Diluvio universale.

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