stava per raggiungere la vetta, un invincibile sonno lo ghermiva e al suo risveglio si ritrovò ai piedi della montagna, finché, un bel giorno, dopo il terzo tentativo di ascesa, Domineddio seccato gli disse chiaro e tondo: “Non ci provare più, perché lassù non arriverà mai nessun mortale.” Poi, commosso dalla fede ardente e ingenua del monaco, gli regalò un frammento dell'arca e glielo depose sul petto. Oggi, la sacra reliquia si trova nell'antico monastero di Echmiadzin ed è solo un pezzetto di legno che gli archeologi ritengono non più vecchio di un migliaio di anni.
     Dal mito biblico al turismo odierno ne è caduta di neve su quella cima ormai non più inviolata! A raccontare tutte le storie dei pazzi, dei sapienti e dei semplici curiosi che si sono avventurati lassù non basterebbe un romanzo di ottocento pagine. Torniamo dunque all'origine di tutto e ripercorriamo le fasi salienti di questa lunga storia.
     Il primo dato certo è che l'Ararat è un vulcano di tipo effusivo, inattivo da almeno diecimila anni. Questo ha determinato la sua forma, la sua maestosa bellezza, che non ispira terrore, ma un senso di rispetto e di serenità. Fin dalla più remota antichità, i popoli del Medio Oriente lo considerarono ovviamente una montagna sacra, perché nessun'altra altura nel raggio di centinaia di chilometri poteva competere con l'Ararat in fatto di grandiosità. Era l'immagine simbolica perfetta di quel cosmico “asse del mondo”, che in tutte le credenze primordiali collega la Terra con il cielo; dunque, il luogo ideale delle apparizioni divine, la sorgente superiore da cui sgorgano i fiumi del Paradiso, la dimora delle potenze ultraterrene.
     Ancor prima che nella Bibbia, se ne trova menzione nella saga sumero-babilonese di Gilgamesh, laddove si narra del Diluvio e dell'eroe Utanapishtim, che sopravvisse al dilagare delle acque costruendosi un'Arca e riparandosi in essa insieme a tutte le coppie degli animali. Il Diluvio durò una settimana e alla fine l'Arca poté posarsi sulla vetta del monte Nisir, dove gli esseri viventi ne uscirono sani e salvi e ripopolarono la Terra.
     Nel libro della Genesi, Utanapishtim diventa Noè, il Nisir si chiama Ararat e il Diluvio non dura sette giorni, ma quaranta. Noè è il nuovo Adamo che ricrea l'umanità. È un salvatore, come Cristo. È un personaggio di dimensione metastorica, che trascende ogni considerazione di carattere puramente umano. Anche la sua Arca è un simbolo: il suo oscuro ventre è analogo a quello della caverna iniziatica che racchiude gli esseri e li rinnova; è la cesta che conduce in salvo il piccolo Mosè sulle acque del Nilo; è la nave di Osiride che trasporta le anime nell'Aldilà; la sua funzione si replica nelle “navate” delle chiese cristiane,

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