progressivo accentuarsi della sua attenzione nei confronti delle peculiarità e dei costumi regionali, che lo spinse frequentemente a servirsi della pittura come strumento di cronaca della vita contemporanea. Ecco perché, sul finire della seconda decade dell’Ottocento, l’abbandono da parte del Ronzoni delle suggestioni classicistiche dei grandi paesisti del XVIII secolo, come Poussin e Lorrain, per sviluppare una sua vena di cronista documentario della veduta urbana “concretamente moderna”, che rappresenta la città in tutte le sue stratificazioni sociali.

     A questa integrazione del nostro artista con i vari aspetti del contesto sociale e culturale orobico corrisponde un importante riconoscimento intellettuale e pratico da parte di quella stessa società. Infatti, proprio a partire dagli anni Venti, Ronzoni diviene il vero e proprio mattatore del mercato bergamasco e non solo di questo, imponendo, per così dire, “la moda” della propria pittura anche attraverso i suoi allievi; in una lettera del Ronzoni al fratello Simone leggiamo infatti: “…Diversi lavori ho per Monaco e Vienna, oltre quelli per Verona, Bergamo, e Milano e Venezia. Io non so come farò. Basta farò quello che posso. È meglio averne molti de lavori che niente…”.
     A conferma di questo grande interesse va registrato come dai più importanti esponenti della società bergamasca, oltretutto rappresentativi “dell’avanguardia intellettuale”, gli vengano affidate commissioni non generiche, ma rivolte proprio alla specifica illustrazione delle loro attività imprenditoriali. Uno degli esempi più rilevanti di questo impegno del pittore è certamente rappresentato da “La filanda”, dove la presenza di telai e filatrici chiarisce inequivocabilmente la natura del soggetto rappresentato e conferisce alla scena di “vita moderna” una tale immediatezza e concretezza da evitare qualsiasi caduta in uno stanco generismo.
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