come il più grande traguardo personale e collettivo, valori, questi, che hanno fatto grande la terra lombarda.
     Ecco perché in questo Paese, finché ci sarà libertà di espressione, nessuna Casta e nessuna corporazione di raccomandati dovrà e potrà farci tacere. Ogni volta che sarà in questione la dignità di tutte le arti dell’Ottocento, occorrerà essere presenti, magari sgradevolmente scomodi contro i detrattori, gli incapaci e gli inetti, che oltretutto seguitano a sputare nel piatto in cui mangiano.
     Come recita un antico proverbio: “se il male trionfa è perché i buoni rinunciano a combatterlo”.
     C’è da augurarsi che qualcuno ci possa smentire annunciando una degna manifestazione che ricordi e rivaluti questo grande artista bergamasco in modo da essere pronti a scusarci e a festeggiare una rinnovata e ritrovata attenzione per la stupenda storia di un grande Ottocento.

     Pietro Ronzoni (Sedrina Bergamo 1781 - Bergamo 1862)
     Città Alta a Bergamo è ed è stata meta secolare e ambiente ideale per l’arte e per gli artisti. Agli inizi dell’Ottocento, questo sentimento raggiunse l’apice proprio con l’incoraggiamento e il conseguente sostegno da parte della nobiltà e della facoltosa borghesia locale, che aveva incoraggiato gli artisti con appassionata ammirazione. Tale atteggiamento viene testimoniato esplicitamente dalle parole di Giacomo Quarenghi, architetto di fama internazionale e attento conoscitore dell’arte, che così si esprimeva in una sua lettera al Ronzoni: “…Lei Signor Pietro, ha un gran talento; lo coltivi la prego quanto mai; è il suo miglior amico che la consiglia, e faccia ancora vedute più che lei puole. Io con la più grande sincerità le dirò che non ho ancora veduto tra i viventi persona che la passi. Il nostro Paese, la nostra città le somministra troppi monumenti onde trarne il più gran partito…”.
     Pietro Ronzoni ebbe diretta esperienza del neoclassicismo e del nascente romanticismo durante i sette anni trascorsi a Roma, a partire dal 1802. Là conobbe le declinazioni tedesche, inglesi e francesi di questi indirizzi, tutte presenti nell’ambito romano, ma il dato fondamentale che lo porta ai vertici della pittura italiana di quei tempi risiede nell’aver compreso con grande anticipo, e alla pari di Giovanni Migliara a Milano, l’esigenza di un rinnovamento dei generi della pittura di paesaggio e di veduta, che si ponesse tuttavia in continuità con i grandi esiti del vedutismo veneziano settecentesco e con l’osservazione della realtà, che da oltre due secoli era presente nella tradizione lombarda. Di qui il

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