AI SEMAFORI IL CASO DEPLOREVOLE MATEI - VIOLETA
                                              di Graziano Paolo Vavassori

     Al primo semaforo ecco che arriva il primo ometto un po’ zoppicante che ti chiede il soldo. Il primo magari non ti dà fastidio, il secondo lo tolleri, il terzo inizia ad essere fastidioso, il problema è che ce n’è uno ad ogni semaforo.
     Allora, si può anche capire che questa gente non abbia lavoro e debba mangiare, di conseguenza si arrangia come può, ma se dovessimo seguire le nostre coscienze e donare un soldo a tutti questi lavavetri o semplici raccoglitori di mance avremmo già speso parte del nostro stipendio giornaliero prima ancora di andare al lavoro.
     A proposito di coscienza. Su questo punto verte il senso di questo intervento: le coscienze non vanno toccate!
     Vi sarà capitato sicuramente di incontrare anche quel ragazzo composto, educato, addirittura anche ben vestito, che, con una manciata di volantini in mano, si avvicina al vetro e ti chiede di prenderne uno. Mentre lo leggi lui finisce la fila di auto e torna indietro a riprendersi il volantino, nella speranza che allegato vi sia qualche soldino.
     Ciò che mi è capitato in mano qualche giorno fa ha trasceso ogni mio controllo. Si parla di Matei, un bambino di due anni affetto da leucemia, per il quale si chiede un contributo in quanto “ha bisogno di un trattamento molto costoso per guarire”. A giudicare dal ragazzino che si aggira intorno al semaforo si tratta di slavi. Non vi è modo di sapere se questo bambino malato esista veramente come del resto non si può pensare che Matei non sia veramente leucemico, ma le menzogne contenute nel volantino sono lampanti. Chiunque in Italia sia affetto da leucemia o da altre patologie come le neoplasie si può curare tranquillamente senza spendere un euro, in quanto il sistema sanitario prevede l’esenzione da ticket. Non solo, se i genitori del bambino sono clandestini, il soggetto malato ha la priorità.
     Gli extracomunitari nel nostro Paese sono più tutelati di noi italiani e su questo io sono fermamente contrario, non lo ritengo giusto né iniquo, ed è tutto a carico nostro, di noi cittadini che paghiamo le tasse e che, per poter fare una ecografia, dobbiamo prenotare almeno due mesi prima, ammesso che vi sia posto, mentre una donna in gravidanza extracomunitaria, meglio se clandestina (ma i clandestini non dovrebbero essere rimpatriati?), se si reca oggi all’ospedale San Paolo di Milano, se non domani, la visita le viene prenotata per dopodomani… oh, per dopodomani!

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