Per giungere alla Quinta da Regaleira dovetti attraversare il borgo e proseguire un po' verso i fittissimi boschi che ricoprono le colline occidentali, ai piedi della Serra, ed ecco apparire l'immenso parco della villa, il cancello di ferro battuto incastonato nella muraglia di pietra, il palazzo di fiaba che emerge dal folto degli alberi secolari. M'immersi subito nel verde imboccando il vialetto che tortuosamente sale verso il monte. L'iniziazione misterica era cominciata. Eppure, se devo essere sincero, nei primi minuti di quel cammino mi sentivo in una disposizione d'animo non tanto seria e mistica quanto allegra e giocosa. Un sottile velo di scetticismo m'impediva di considerare troppo sul serio quella piacevole avventura. A un tratto pensai: “L'architetto italiano Luigi Manini, che ricevette l'incarico di progettare questa meraviglia dallo stravagante miliardario portoghese Antonio Augusto Carvalho Monteiro, era un vero iniziato o solo un eclettico dilettante di simbolismi e di magia? Chi mi può assicurare che questa bella passeggiata non sia, in fondo, altro che un originale e ben congegnato passatempo?” Ma subito dopo mi ricordai d'un proverbio arabo che dice: “L'amore, all'inizio, è come un gioco, e alla fine è una cosa assai seria.” Forse era quella la chiave giusta per trasformare il divertimento in un'autentica esperienza interiore.
     La prima prova iniziatica non si fece aspettare: a breve distanza dall'inizio del cammino il sentiero si biforcava inopinatamente ed io dovevo scegliere una direzione. A sud o a ovest? In discesa o ancora in salita? Mi ero ben guardato dal richiedere all'ingresso una mappa del parco e ora brancolavo nell'incertezza. Intorno, non c'era un'anima viva a cui chiedere informazioni e il bosco era troppo fitto per consentirmi di scorgere un qualsiasi oggetto che mi potesse attrarre in modo particolare. Ero certo solamente di una cosa: volevo scoprire dove fosse il magnifico pozzo raffigurato sulla copertina del libro acquistato a Lisbona. Sapevo che il “termine” del viaggio era quello e che quella era la meta a cui arrivare. Dovevo fermarmi a riflettere o proseguire senza indugio affidandomi al caso? In quel preciso momento udii il gorgheggio di un merlo che cantava su un altissimo ramo, alla mia destra. Non ebbi più alcun dubbio e andai dritto e deciso da quella parte, sul sentiero che saliva verso ovest.
     Dopo un poco, sul lato sinistro del cammino, ecco apparire nella roccia l'imboccatura di una galleria, così angusta da scoraggiare ogni tentativo di esplorarla. Singolare visione: il tunnel si perdeva nel buio più fitto, mentre da una canalina scavata nel suolo al suo interno, sottile e dritta come un fuso, fluiva dalle sue viscere oscure un ruscelletto di limpidissima acqua. Era un

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