un essere personale, non è un amore morale, ma personale; in questo amore non vi è neppure la scintilla di un concetto o di un sentimento morale elevato.»
     Siamo al dunque: l’Io divino. La personalità, l’Identità di Dio. Dio viene immaginato come un essere, è cosificato, reificato. Egli è l’Altissimo, il Perfettissimo: un colossale abbaglio confonde la Trascendenza con la Superiorità, con qualcosa, qualcuno, l’essere supremo, colui che “sta sopra”, e dall’alto può permettersi di giudicare i vivi e i morti, premiare o punire per l’eternità. Nella fede popolare, nulla lo distingue dallo Zeus fulminante, seduto sul trono dell’Olimpo. E parimenti Gesù Cristo, suo figlio, è trascinato come un fantoccio, come un idolo di terracotta, nella commedia volgare della reificazione. Friedrich Nietzsche, “L’Anticristo”: «Niente è più anticristiano delle grossolanità ecclesiastiche di un Dio persona, di un Regno di Dio che sopraggiunge, di un Figlio di Dio, la seconda persona della Trinità. Provo vergogna a ricordare che cosa la Chiesa ha fatto di questo simbolismo. Ridurre l’essere cristiani, la cristianità a un tener-per-vero, a un mero fenomenismo della coscienza, significa negare la cristianità. In realtà non sono esistiti affatto dei cristiani. Il “cristiano”, quello che da due millenni è chiamato cristiano, non è null’altro che un autofraintendimento psicologico. La fede fu in tutti i tempi, per esempio in Lutero, soltanto un mantello, un pretesto, un sipario, dietro il quale gli istinti facevano il loro gioco.»
     Nelle menti offuscate dall’illusione, la maschera della fede può diventare un’armatura di guerra. Lo si è visto con le stragi dell’11 settembre 2001. Lo si è visto in Norvegia nel luglio di quest’anno. Ma sarebbe un errore addebitare quelle tragedie unicamente al fanatismo di alcune menti esaltate, che avrebbero tradito il vero spirito della loro fede (islamica o cristiana o altra che sia, non fa differenza). Il problema è che la fede in se stessa contiene il germe micidiale del proprio fraintendimento. Ripetiamo le parole di Nietzsche: «Ridurre l’essere cristiani a un tener-per-vero», ecco il terribile rischio. Rischio che può far cadere in un attimo nella doppia trappola dell’idolatria e dell’ipocrisia. Idolatria vuol dire adorare degli idoli, piegarsi alle superstizioni, credere alla “verità effettiva”, o storica, delle favole simboliche narrate nei libri sacri (è incredibile, ma al giorno d’oggi esistono ancora forti correnti di pensiero, nel progredito mondo dell’Occidente cristiano, che rifiutano ad esempio le conquiste della scienza fisica e biologica, e si appellano alla “verità letterale” del mito della Creazione raccontato nel libro della Genesi).
     Ipocrisia vuol dire, per tornare a Nietzsche, usare la fede come “un mantello,

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