affila le armi e preferirebbe un cambio di direzione ai vertici di via San Tomaso.
     L’ala conservatrice dell’arte, molto nutrita ed agguerrita a Bergamo, non vede l’ora di visitare mostre di pittura dei cosiddetti emarginati dal sistema dell’arte, che tanto ama Vittorio Sgarbi, un idolo per questa fazione cittadina, e la peggior Biennale di Venezia di sempre dovrebbe far riflettere.
     Ciò premesso, questa dicotomia la si può percepire pure se si scambiano due parole con appassionati e collezionisti; chi colleziona, o almeno ci prova, arte, che per semplicità lessicale definirò comprensibile e/o riproducente ciò che l’occhio comprende, spesso utilizza termini come “modaiola”, “espressione di interessi economici”, per definire tutto quello che produce il mondo dell’arte contemporanea ed il sistema ad essa collegato, confondendo molte volte l’arte contemporanea con quella moderna, che è ben altra cosa.
     Vorrei chiarire che per “arte moderna” si intende tutto quello che di artisticamente rilevante è avvenuto tra la fine dell’Ottocento e il primo dopoguerra e che per arte contemporanea, convenzionalmente, ci si riferisce a tutti quei movimenti che si sono sviluppati dal 1968 ad oggi pomeriggio. Questa banale e ovvia precisazione va comunque fatta per illuminare le ottenebrate menti di molti che si occupano di arte senza conoscerla, antiquari, collezionisti, galleristi e orecchianti.
     Ricordo infine che “tutta” l’arte è stata contemporanea e discussa mentre la si produceva in ogni epoca ed in ogni periodo storico, la contrapposizione tra arte contemporanea e passato è stata dibattuta, da Cimabue a Giotto nel Duecento, da Masolino a Masaccio nel Rinascimento fino all’esposizione dei pittori impressionisti al Salone dei Rifiutati nel 1863, il quale, di fatto, aprì l’epoca moderna dell’arte. Insomma, diciamo nulla di nuovo e aggiungo: “la crassa ignoranza deborda oggi come nel passato”.
     Spesso mi trovo in mezzo ad accese discussioni tra antiquari che ritengono l’arte contemporanea la radice dei loro cattivi affari e galleristi di arte moderna e contemporanea che, nelle loro sontuose gallerie pluri-sedi, vendono quadri come prosciutti imbonendo il loro pari di turno (nel senso che considerano importante solo ciò che costa molti soldi), convincendo l’arricchito di turno che il quadro che gli stanno proponendo è sopratutto un ottimo investimento, mai che si dilunghino su una qualche argomentazione di natura storico-artistica obbiettiva su ciò di cui discutono e comunque ignorano qualsiasi movimento artistico precedente l’epoca che trattano.

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