Cos’è cambiato dunque al di là delle profetiche parole di Andy (Wharol) “Nel futuro tutti avranno i loro 15 minuti di celebrità” rispetto ad altre epoche nelle quali per essere definito artista o per avere una certa riconoscibilità sociale dovevi comunque attraversare un lungo percorso? È cambiato tutto o quasi, è cambiato il ruolo della scuola, che non prepara affatto nella comprensione delle arti, è cambiato il sistema della comunicazione ed il ruolo di chi deve giudicare ed ergersi a “critico”, i giornali e le riviste vivono (legittimamente) di pubblicità, pertanto dedicano attenzione soprattutto a chi garantisce un ritorno economico nel migliore dei casi, oppure, peggio, legittimano a scrivere di arte chi non ha titoli o capacità per farlo, oppure si devono accontentare di chi poco viene pagato per scrivere, ma poco capisce.
     Viviamo in un ring senz’arbitri in cui chi grida di più (quindi comunica meglio le proprie ragioni) ha più ragione di altri? Il problema sollevato tocca maggiormente le arti contemporanee e meno tutto quanto è già stato passato al setaccio dagli storici e dai critici d’arte, in quanto in quel caso è più difficile ribaltare la verità. Come uscirne? Forse usando formule vecchie; non si capisce, per esempio, perché dalle colonne del quotidiano locale, l’intoccabile “giornale ultrà-cittadino”, non scrivono critici d’arte od opinionisti in grado di collocare il confronto culturale di Bergamo sul piano contemporaneo internazionale.
     Siamo circondati da moltissimi ragazzi che terminate le università sono pieni di cultura ed energia, fossi direttore di un giornale lascerei carta bianca a loro, ricettivi e “puri” ai richiami della cultura contemporanea e manderei tutti i vecchi tromboni “cerchiobottisti” in giro per mostre in Italia e nel Mondo, così tanto per cominciare a capirci qualcosa.