L’ITALIA E IL LONTANO RICORDO DELL’EDUCAZIONE CIVICA
                                  di Pierluigi Piromalli

     Osservando le vicende, i fatti e i misfatti dell’Italia contemporanea che riesce a trasformare argomenti sterili in dibattiti apparentemente significativi e che trascura quelli realmente e socialmente importanti, non si può che giungere ad una considerazione che definirei antropologica ed allo stesso tempo sociologica, sperando di non far impallidire autorevoli esponenti di queste dottrine. Gli italiani, che si barcamenano tra virtuosismi indulgenti e campagne denigratorie collettive, sono un popolo di liberi interpreti del regolamento condominiale, di campanilisti ad orologeria, di persone generose e commiserevoli che hanno l’abilità di giustificare l’ingiustificabile quasi dovessero espiare una sorta di peccato originale, quale poi possa essere questo peccato non si sa! É insomma un popolo per lo più di educatori morali ed allo stesso tempo di peccatori, sedicenti veniali, che tende all’autoassolvimento in nome di una tendenza al perdono e alla comprensione che, se da una parte e in linea di astratto principio può anche essere considerata una virtù, dall’altra rischia di diventare un pericoloso strumento persuasivo che attenta alle fondamenta del vivere civile.
     Queste particolari caratteristiche che rendono l’italiano un essere così singolare nel panorama globale, apprezzato a dire il vero più per innate doti di creatività e di propensione alla facile socializzazione che per meriti politici e sociali, certifica come il Paese, attraversato da scossoni e guerriglie istituzionali, sia una specie di enciclopedia delle inefficienze talmente cronicizzate e strutturate nella società civile da apparire irrisolvibili, al punto che il legislatore si inventa, ad ogni piè sospinto, leggi e decreti che sovrappongono anomalie a pregressi deficit normativi, allargando il campo di sibilline interpretazioni che rendono grottesco tutto l’insieme.
     È un dato di fatto che la popolazione sia accomunata dalla brama di una ricerca morbosa della certezza della pena ancor prima che del diritto, pur nella consapevolezza che essa altro non è che una aspirazione appartenente ad altre latitudini geografiche e sociali più progredite delle nostre.
     Scrutando la quotidianità costantemente avvelenata dalle liti politiche e dalle aggressioni verbali tra le istituzioni, dagli accadimenti che fotografano una realtà turbata dalla ossessiva presenza di una criminalità invasiva che si accompagna ad un atteggiamento omertoso delle amministrazioni locali e della popolazione, non può che rafforzarsi la consuetudine all’impunità, che trova terreno fertile in un permissivismo soprattutto culturale. Si paga, insomma, la mancanza di un robusta iniezione, in età prescolare e scolare, di quei sani ma, evidentemente, sottovalutati princìpi di educazione civica, materia ormai cascata nel dimenticatoio delle riforme e controriforme luterane scolastiche e,

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