le luci del paese, la casetta che avrebbe dovuto coronare il sogno suo e di Renzo e pur nel pianto sommesso è rassicurata dall’idea che Dio non permette il male se non per trarne un bene maggiore. Diventa lo strumento di Dio che porta alla conversione dell’Innominato, colpito dai suoi pianti lui che non sapeva cosa fosse la pietà e dalla frase “Dio perdona tante cose per un’opera buona… “ e probabilmente dello stesso Nibbio (il più tremendo degli scugnizzi del potente signore).
     Un altro collegamento mi è corso alle tre donne della Commedia di Dante: il poeta rarissimamente presenta la figura femminile, non parla mai di sua moglie Gemma, mette in bocca a Virgilio una lode sfuggevole a sua madre “Beata colei che in te s’incinse”, trasforma Beatrice in una guida celeste, ma all’inizio delle tre cantiche sono tre figure femminili che giganteggiano: Francesca, Pia e Piccarda. Tutte e tre sono vittime delle usanze umane delle famiglie potenti (più o meno come nel seicento della monaca di Monza) che prevedevano un disegno politico od economico per il futuro delle figlie: Francesca viene data in sposa a Gianciotto (Gianni lo Zoppo) Malatesta, si innamora del cognato Paolo e seguendo la sua passione va incontro ad “una” morte, dove l’aggettivo “una” mostra la contemporaneità dell’atto del marito che uccide lei ed il fratello non permettendo loro di pentirsi e praticamente condannandoli all’inferno; a differenza della critica romantica del De Sanctis, che vedeva in lei la gentilezza quasi stilnovistica di un amore corrisposto e nobile, i moderni vedono il lei la disperazione e la rabbia che si sfoga con la soddisfazione umana di pensare che “Caina (il lago ghiacciato) attende chi a vita ci spense…”.
     Pia dei Tolomei è forse la figura più dolce del poema: è l’unica che si preoccupa della fatica che Dante incontra nel suo viaggio, che pospone una preghiera per lei al suo riposo «Deh, quando tu sarai tornato al mondo,/e riposato de la lunga via […], ricorditi di me, che son la Pia:/Siena mi fé, disfecemi Maremma:/salsi colui che 'nnanellata pria /disposando m'avea con la sua gemma». Nella sua dolcezza c’è la certezza di una salvezza ormai raggiunta, di un’ accettazione serena di una volontà divina che nel suo perdono le ha concesso di partecipare in seguito, scontate le sue mancanze nel Purgatorio, alla gloria dei cieli.
     Piccarda è molto dolce, si illumina parlando con Dante e gioisce nel potergli spiegare i suoi dubbi su una beatitudine limitata: Ma dimmi: voi che siete qui felici,/ disiderate voi più alto loco/ per più vedere e per più farvi amici?/ Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco;/da indi mi rispuose tanto lieta,/ch'arder parea d'amor nel primo foco:/ «Frate, la nostra volontà quieta/ virtù di carità, che fa volerne/ sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta […] è formale ad esto beato *esse*/ tenersi dentro a la divina voglia,/ per ch'una fansi nostre voglie stesse;/ sì che, come noi sem

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