La definizione che Nietzsche associa alla Fede mi vede pienamente d’accordo. La Fede non la si acquista, non la si conquista, come vuole sostenere colui che professa la Fede cristiana; essa è dentro di noi, nasce con noi. In parole semplici la fede è ciò che siamo; non è necessario essere un Cristiano per essere buono, non è l’essere un Cristiano che fa di una persona un “buono”, ma tutto ruota attorno a quello che nella nostra vita facciamo. I fatti rappresentano la nostra fede.
     Mi ha molto colpito l’originalità con la quale l’illustre pensatore ha giustificato il successo del cristianesimo: un simbolismo grossolano, rozzo, popolare, così assurdo da essere credibile, in pratica geniale, appunto efficace. “Con ogni propagazione del cristianesimo in masse ancor più larghe, ancor più rozze, alle quali mancavano sempre più i presupposti da cui esso era nato, si rese maggiormente necessario volgarizzare, imbarbarire il cristianesimo – esso ha ingurgitato le dottrine e i riti di tutti i culti sotterranei dell’imperium romanum, l’assurdità di ogni sorta di ragione malata.”
     Di particolare interesse il capitolo quarantanove: si tratta di una personalissima interpretazione del primo capitolo della Bibbia, a tratti sarcastica, a tratti addirittura comica. Vi è mai capitato, spero per voi solo da piccoli, di reinventare il senso di un racconto o di inventare un nuovo testo per una canzone? Pressappoco Nietzsche ha fatto la medesima cosa con “l’inizio del mondo.”
     In merito alla decadenza dell’Impero romano (imperium romanum) l’autore ha le idee chiare: è colpa del cristianesimo e, soprattutto di Paolo. “Già esistevano tutti i presupposti di una civiltà dotta, tutti i metodi scientifici; si era già fatta chiaramente conoscere la grande, incomparabile arte di leggere bene – questa premessa per la tradizione della cultura, per l’unità della scienza; la scienza naturale, alleata con la matematica e la meccanica. […]” “Greci! Romani! La nobiltà dell’istinto, il gusto, l’indagine metodica, il genio dell’organizzazione e dell’amministrazione, la fede, la volontà dell’avvenire umano, il grande sì a tutte le cose divenuto visibile come ‘imperium romanum’, visibile a tutti i sensi, il grande stile divenuto non più semplicemente arte, ma realtà, verità, vita… […]” Epicuro combatté contro il cristianesimo e “avrebbe vinto, ogni spirito rispettabile dell’Impero romano era epicureo: ed ecco che comparve Paolo… Paolo, l’odio dei Ciandala contro Roma, contro ‘il mondo’, divenuto carne, divenuto genio: l’ebreo, l’eterno ebreo ‘par excellence’…”
     Non risparmia nemmeno i tedeschi, i quali “hanno sulla coscienza anche la più sporca specie di cristianesimo che esista, la più inguaribile, la più inconfutabile, il protestantesimo… Se non la faremo finita col cristianesimo, sarà colpa dei ‘Tedeschi’…”

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