non ho tenuta questa opinione dopo determinazione fatta, come ho detto”. Imposta l’abiura “con cuor sincero e fede non finta” e proibito il “Dialogo”, Galileo venne condannato per eresia “al carcere formale ad arbitrio nostro ed alla pena salutare della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni, riservandosi l’Inquisizione di moderare, mutare o levare in tutto o parte le pene e le penitenze”.
     Galileo, anziano e malato, riuscì ad evitare il carcere e la detenzione fu commutata nella reclusione forzata nella villa dell’ambasciatore del Granduca di Toscana in Roma, anche se fu condannato a “stare da solo, non chiamare né ricevere alcuno, per il tempo e l’arbitrio di sua Santità”. Solo i famigliari potevano fargli visita, dietro preventiva autorizzazione pontificia. Mantenne però un proficuo scambio epistolare con amici ed estimatori, anche fuori dall’Italia, e da essi apprese che il suo “Dialogo” stava per esser pubblicato in lingua latina in Olanda. Si impegnò anche nella stesura di quella che sarà la sua ultima opera, la migliore, pubblicata poi in Olanda, “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, a riprova che lo scienziato non aveva abbandonato le sue teorie. Con la cecità e l’aggravarsi della malattia, gli fu concessa l’assistenza del suo giovane allievo Vincenzo Viviani e, dall’ottobre del 1641, anche di Evangelista Torricelli. Galileo Galilei si spense la notte del 8 gennaio 1642, ad Arceteri.
     Dopo la morte venne tumulato nella Basilica di Santa Croce a Firenze insieme ad altri grandi fiorentini come Michelangelo e Macchiavelli, ma non fu possibile innalzargli il monumento funebre perché la Santa Inquisizione riteneva che “non è bene fabbricare mausolei al cadavere di colui che è stato penitentiato dal Tribunale della Santa Inquisizione ed è morto mentre faceva penitenza (…) e nell’epitaffio che si porrà sul sepolcro è bene non si leggano parole tali che possano offendere la reputatione di cotesto Tribunale”. Nel 1757 Giuseppe Baretti, in una sua ricostruzione storica, avrebbe fatto nascere la leggenda che Galileo, una volta alzatosi in piedi durante il processo, colpì la terra ed esclamò “Eppur si muove!”. Tale frase non è contenuta in nessun documento, ma nel tempo fu ritenuta veritiera, probabilmente per il suo valore suggestivo.
     Incredibilmente, trecentocinquanta anni dopo la sua morte, nel 1992, la Chiesa ha riconosciuto formalmente la grandezza di Galileo Galilei, riabilitandolo ed assolvendolo dall’accusa di eresia.

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