tombe per membri di tribù paleolitiche. Senza che ci si renda conto, appunto, che trattasi delle due facce della stessa cultura di alto livello. In questo trattato mi soffermerò sui megaliti.
     Tutto quello che i moderni studiosi riescono a dirci sull’orientamento astronomico dei medesimi è che ‘gli antichi erano buoni astronomi e che comunque orientavano quei massi a fini agricoli, essendo fondamentale per i contadini avere l’esatta conoscenza di solstizi ed equinozi’. Ebbene, questo virgolettato è un vero concentrato di baggianate. Intanto i primitivi, per definizione, non potevano essere buoni astronomi e poi, evidentemente, dovevano passare il loro tempo alla ricerca del cibo e a difendersi dalle fiere, e non ad ingegnarsi per poter spostare massi di centinaia di tonnellate, riunendosi a migliaia allo scopo e trascurando le attività quotidiane. E per quanto riguarda l’agricoltura: io ho passato una vita in mezzo ai contadini, quelli veri, quelli che una volta, quando non riuscivano a far produrre la terra, subivano la carestia, e non ho mai sentito nessuno parlare dell’importanza di solstizi ed equinozi. Casomai, l’unico evento astronomico che veramente interessa i contadini, di facile osservazione, è la luna crescente e la luna calante, perché in un caso piuttosto che nell’altro la semina ha maggior successo e il dato è empiricamente di facile verifica tramite l’osservazione diretta da parte dei medesimi. Viceversa, tornando al tema, l’esatto calcolo dei solstizi ed equinozi, oltre ad essere un’operazione che richiede lunghe osservazioni e calcoli complessi, non è di alcuna utilità all’agricoltura! Quindi, tirando le somme: sia il linguaggio (astronomico) del mito, sia il linguaggio (astronomico) della pietra, sono stati travisati, snaturati dai loro reali significati. Entrambi i modi espressivi sono in realtà il prodotto di una civiltà unitaria, di livello planetario, che aveva delle altissime conoscenze astronomiche e che portava avanti un proprio progetto, su cui discetto nei miei libri.
     La mistificazione di cui oggi siamo vittime e che ho qui cercato di sintetizzare, si ripropone di continuo. Ad esempio, ho in mano il quotidiano Repubblica del 12-3-2008; a pagina IX dell’inserto culturale vi è un servizio intitolato “Il ritorno dei Ciclopi”, che argomenta sulle mura poligonali megalitiche di Ferentino (e non solo), paesino a 60 km a sud di Roma. Le mura a macigni trapezoidali irregolari di Ferentino, del tutto simili a manufatti incaici presenti in Sud America, sono di difficillima realizzazione tecnica. L’articolo sostiene che di quelle mura non si sa nulla: i Romani le trovarono lì; non si conosce nulla del popolo che le abbia costruite. Quindi, di quelle mura non si sa

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