nasce principalmente da due motivazioni essenziali: la prima, non ufficialmente dichiarata ma di fatto realmente concepita come “conservativa”, originata dall’interferenza della magistratura nelle vicende politiche e nel coinvolgimento di esponenti di governo; la seconda dalla necessità di regolamentare l’utilizzo delle risultanze processuali onde circoscriverne la speculazione mediatica. Stampa e televisione hanno sicuramente le proprie responsabilità avendo, con una certa colpevole disinvoltura, costruito processi mediatici manipolando le fonti per uso spesso strumentale, al punto che si è percepita la imprescindibilità di un intervento legislativo mirato a tutelare sia la posizione dell’indagato, assistito dalla presunzione di innocenza fino alla decisione giudiziale, sia l’informazione stessa, esposta a rischi di scarsa credibilità ed intaccata nella sua autonomia. Il principio ispiratore della bozza di legge nasce, quindi, dall’esistenza di fatti penalmente rilevanti che, per effetto di un utilizzo spesso distorto da parte degli organi d’informazione, sono stati letteralmente fagocitati e metabolizzati dall’opinione pubblica che, mossa dal comprensibile ma non giustificabile istinto emozionale e giustizialista, rappresenta, per vocazione, l’alter ego popolare del giudice naturale precostituito.
     In verità oggi esiste una realtà del tutto travisata, che ha origini ben lontane e che rende inaccettabile il tentativo dei politicanti di imbavagliare la stampa nel nome della privacy. L’indagine preliminare o istruttoria è per legge trasparente dal 1989, proprio per garantire i diritti dell’indagato e permettere, leggiamo testualmente, “al popolo italiano nel cui nome la giustizia è amministrata di esercitare il controllo sulla magistratura” attraverso, ironia della sorte, proprio la mediazione dell’attività giornalistica. L’articolo 114 del codice di procedura penale stabilisce che gli atti depositati sono a disposizione delle parti che ne usufruiscono a loro piacimento, anche, quindi, pubblicandone il contenuto a mezzo stampa. Addirittura, se il pubblico ministero volesse prolungare il periodo del segreto istruttorio, deve chiederlo all’indagato esprimendo consone motivazioni, come sancisce l’articolo 329. La legge, dunque, è in contrapposizione con le sensazioni che l’opinione pubblica ha nei confronti dei fatti di cronaca sotto la luce dei media, pensando, erroneamente, che il “segreto” sia un valore aggiunto delle indagini. Tutt’altro.
     I noti fatti di Cogne, unitamente ad altri eventi di rilievo nazionale e di pari efferatezza, hanno fatto da cassa di risonanza pubblica e sono stati precursori di

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