Tra l’altro, la giurisprudenza francese, differentemente dalla nostra, sostiene che se un sito Internet è accessibile dalla Francia, la responsabilità non è solo della filiale di competenza del territorio, ma anche della casa madre.
     Uscendo dall’ambito giuridico, da un punto di vista tecnico tale sentenza rischia di essere un precedente molto preoccupante per le società informatiche di servizi con tali presupposti, le quali, fino ad ora, sono apparse invulnerabili. Abbiamo letto molte discussioni che puntano a difendere il colosso delle aste on-line, appellandosi agli automatismi che sono necessari al fine di fare funzionare una piattaforma web con milioni di utenti al giorno. È chiaro che dietro ad ogni transazione non c’è una persona che fa click su un pulsante per autorizzare la messa all’asta a seguito di una attenta analisi del prodotto ed è chiaro che il tribunale di Parigi non ha approfondito l’osservazione da un punto di vista tecnico, tuttavia, riteniamo noi, non è necessario istruire l’accusa sotto il profilo tecnologico quando l’azione stessa di vendita di prodotti illegali determina un guadagno. Il problema è a monte: se questi sistemi commerciali generano un introito economico sul commercio illegale di oggetti essi non dovrebbero esistere, se non cambiando sistema o, impossibile da realizzare, certificando la provenienza della merce.

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