NOTTURNO
                                 di Joyce Carol Oates

     A volte capita di farsi attirare dalla copertina di un libro di un autore mai sentito prima, di farsene incuriosire e poi, decidendo d'impulso di dedicare qualche ora al piacere della lettura, di acquistarlo. Qualche volta si prendono solenni cantonate, è vero. Qualche volta, come in questo caso, si apre un nuovo mondo: il mondo di Joyce Carol Oates. Devo dire la verità: non conoscevo questa autrice americana, nonostante la sua fama. La Oates, classe 1938, è un genio della letteratura. Straordinariamente prolifica, lungo la sua carriera di docente universitaria e scrittrice ha pubblicato qualcosa come una cinquantina di romanzi (alcuni sotto gli pseudonimi di Rosamond Smith e Lauren Kelly), un numero imprecisato di racconti, poesie, libri per bambini e saggi. Vincitrice di vari premi letterari, tra cui il National Book Awards per “Them” nel 1970, ha ottenuto tre nomination per il Pulitzer e per il premio Nobel. Rispetto alla mole della sua produzione, in Italia sono state tradotte poche opere: le più famose sono “Una famiglia americana”, “Blonde”, romanzo sul lato oscuro di Norma Jane Baker, meglio conosciuta come Marilyn Monroe, “L'età di mezzo” tra i romanzi, “Notturno” e “Storie Americane” tra le raccolte di racconti.
     Lo stile della Oates è stato definito, al pari di quello di autori del calibro di Thomas Pynchon, Salman Rushdie e Don DeLillo, “realismo isterico”. Coniata dal critico James Wood, questa definizione indica la ricerca della “vitalità a tutti i costi”, uno stile di prosa che si abbina ad una descrizione dettagliata, quasi giornalistica dei personaggi, quasi sempre maniacali, con frequenti digressioni su elementi apparentemente secondari nella narrazione. È proprio l'attenzione quasi morbosa al lato oscuro della personalità che colpisce leggendo “Notturno”, raccolta di quattro racconti pubblicata in Italia nel 1996 da E/O; un'attenzione che crea atmosfere noir, trattate però con una sensibilità notevole e una ricerca psicologica unica. Molto diversa, per esempio, dalla costruzione del Lee Harvey Oswald di DeLillo in “Libra”, dove la sensazione prevalente è quella di trovarsi di fronte ad un uomo clinicamente deviato, qui la Oates dipinge dei ritratti che potrebbero appartenere a ciascuno di noi, con le miserie e le infelicità quotidiane, striscianti, che tuttavia non sfociano mai in un evento tragico. L'equilibrio è sempre appeso ad un filo, ma non si rompe mai e, quando il racconto si conclude, ci si sorprende a chiedersi cosa ne sarà dei protagonisti.
     “Le vedove” racconta dello strano rapporto che si instaura tra due giovani ragazze che hanno appena perso il marito, una per una lunga malattia, l'altra

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