identico a Pluto, se non fosse per una macchia bianca sul petto. Lo porta a casa, ma la somiglianza impressionante con Pluto provoca a poco a poco nell’uomo un odio indescrivibile, che esplode il giorno in cui il gatto rischia di farlo cadere dalle scale della cantina. L'uomo allora afferra un'accetta deciso a sopprimere la bestiola, ma morirà invece la moglie, intervenuta per bloccare il colpo diretto al gatto. Con fredda lucidità, egli nasconde il cadavere della donna murandolo dietro una parete della cantina.
     Viene aperta un'inchiesta sulla scomparsa della donna, ma le perquisizioni della polizia portano a nulla. Il quarto giorno dopo l'omicidio, però, una squadra di poliziotti si reca a casa del narratore per un ultimo controllo. Sicuro di non essere scoperto, l’uomo li conduce in cantina e, per somma arroganza, batte con la mazza un colpo proprio sulla parete dietro la quale aveva celato il corpo della moglie. Subito un grido inumano, demoniaco e quasi infantile, si leva da dietro il muro di mattoni, la parete viene demolita ed accucciato sul cranio del cadavere semidecomposto c'è il gatto: l'uomo aveva “murato il mostro entro la tomba”.
     La follia è certamente la tematica principale del racconto: infatti, benché il narratore continui a negarla (“pazzo sarei...”, “non sono pazzo”), tutto il testo è un resoconto allucinato di una discesa agli inferi. Non è un dramma dovuto all'alcool o almeno non soltanto: ciò che lo stato alterato dell'ubriachezza fa è solamente svelare la parte più nera dell'animo umano, quella dove, secondo Poe, si annida il “demone della perversità”. Come ne “Il ritratto di Dorian Gray”, il tema del doppio è esplorato da Poe seguendo l'abbandonarsi del protagonista al suo lato peggiore. Ciò che rende il racconto veramente dell'orrore è proprio il fatto che le aberrazioni compiute dall'uomo nascano nel suo intimo, non sono il prodotto di un qualche demone infernale; sarebbe a dire, insinua Poe, che tutti potremmo diventare come il protagonista del racconto, tutti possediamo il germe del male. Il senso di crudeltà che il comportamento dell'uomo ispira è rafforzato dal fatto che il male è compiuto contro creature innocenti, che, anzi, mostrano all'uomo amore e devozione, ciò vale sia per il gatto che per la moglie del protagonista.
     “E infine si impadronì di me, per sommergermi in modo definitivo e irrevocabile, lo spirito della perversità. Di questo spirito la filosofia non si cura. Eppure sono sicuro, quanto sono sicuro che la mia anima vive, che la perversità è uno degli impulsi più primitivi del cuore umano, una di quelle facoltà o sentimenti primari non analizzabili che dirigono il carattere dell'Uomo. Chi non ha almeno cento volte commessa un’azione sciocca o vile, per nessun altro motivo se non perché sa che non dovrebbe commetterla? Non proviamo noi una

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Recensione, Il gatto nero, Edgar Allan Poe, Poe, Scrittore, Giornalista, Padre, Horror, Baltimora, Silvia, Ferrari