fenomeno e con la consistenza numerica degli apparati preposti al suo monitoraggio.
     L’Associazione Nazionale Magistrati è, infatti, insorta prospettando scenari preoccupanti soprattutto nel perseguire il reato di clandestinità che affliggerà numericamente le Procure rischiando di rallentare processi senza risolvere il problema, complice la mancanza di personale che possa assorbire il prevedibile aumento del numero dei procedimenti penali, ma se “Atene piange Sparta non ride”. Cosicché, anche le forze dell’ordine, cronicamente limitate nei propri organici, prospettano situazioni non idilliache laddove viene loro richiesta una maggiore presenza nell’opporsi al contrasto delle attività criminali anche in termini di prevenzione.
     Per ovviare a questa deficitaria realtà, il dicastero dell’interno di concerto con quello della difesa hanno raggiunto un’intesa che prevede di utilizzare l’esercito con finalità di pattugliamento delle aree metropolitane, affidando loro il controllo dei cosiddetti siti sensibili o maggiormente esposti al degrado urbano soprattutto nelle ore serali. Pur se tale iniziativa ha mosso le coscienze di intellettuali e politici allergici ad una soluzione che, sebbene prospettata come transitoria, evoca scenari sovietici o colombiani, va detto che la situazione attuale non consente di adottare altre misure, programmabili invece nel medio e lungo termine.
     La nota ambigua che sta suscitando veementi prese di posizione riguarda la decisione dell’esecutivo di dare priorità alla celebrazione dei processi più gravi sospendendo circa centomila procedimenti pendenti, numero in predicato di passare sotto la mannaia della prescrizione e quindi dell’impunità. Rispetto a tale ultimo aspetto, si assiste alla classica soluzione all’italiana che aggira il problema e che getta ancora una volta ombre sul ruolo di esponenti di governo, in primis il Presidente del Consiglio, che poco hanno fatto per rendere trasparenti e giuridicamente chiare le loro posizioni. Siccome, però, sono in gioco la credibilità e la fermezza delle istituzioni, concetti per troppo tempo ignorati e colpevolmente svuotati del loro fondamentale significato, in questa direzione va intesa e letta l’azione di governo che, nell’oggettiva limitazione di risorse, deve garantire giustizia ed imporre la presenza dello Stato per far ad esso riguadagnare l’autorevolezza perduta. I tempi non consentono pertanto di perdersi in troppi orpelli dialettici e in dibattiti costruiti sotto la luce dei riflettori televisivi, ma necessitano di risposte adeguate, immediate e coltivate nell’interesse del depositario del bene comune, il cittadino, nella speranza che il futuro possa prospettare reali miglioramenti che risparmierebbero all’opinione pubblica di assistere impotente all’adozione di un provvedimento che oggi avalla, nella logica del male minore, il principio della “denegata” giustizia (per i reati minori) a favore di quella “pretesa” (per quelli più gravi).

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