EFFETTO NIMBY: COLLETTIVIZZAZIONE DEL DISSENSO
E PARALISI DELLE OPERE

                                  di Pierluigi Piromalli

     In Italia si assiste da tempo ad un fenomeno particolare e curioso, ma allo stesso tempo deleterio per lo sviluppo territoriale e ambientale del Paese, che è stato battezzato come sindrome Nimby, acronimo della frase “Not in my backyard” ovvero “non nel mio giardino”. L’effetto Nimby lo si può semplicemente qualificare come una collettivizzazione del dissenso, vale a dire una consapevole presa di posizione di sempre più numerosi comitati di cittadini o di quartiere che, formatisi spontaneamente, hanno assunto caratteristiche tali da paralizzare la realizzazione di opere strutturali con impatto ambientale. Le contestazioni, ormai sempre più veicolate attraverso i media e gli organi di informazione, riguardano un’attualità recente come, per esempio, i comitati AntiTAV della Val di Susa, quelli contro la costruzione di basi aeree, di inceneritori, di discariche e via dicendo. Se da una parte le spontanee manifestazioni di dissenso avvalorano e rafforzano il ruolo della democrazia, garante del principio della libera espressione, dall’altra si determinano inevitabili degenerazioni e strumentalizzazioni che generano l’effetto contrario finendo per creare ostacoli e turbative all’interesse comune.
     La contestazione di massa contro le opere pubbliche sta oggi assumendo più connotati di moda che di effettiva utilità e sull’intero territorio nazionale non si contano più questi gruppi più o meno strutturati e numericamente consistenti che hanno bloccato già avanzate fasi di realizzazione di infrastrutture o hanno addirittura impedito l’avvio dei lavori.
     Il concetto che giustifica questa sindrome che colpisce l’uomo contemporaneo si basa su un teorema molto semplice: un’opera che genera un impatto su una determinata zona induce inevitabilmente alla protesta di chi vi risiede a prescindere dalla bontà e dalla necessità di un tale intervento. Il Belpaese ha eletto a regola questa anomalia: al solo pensiero di realizzare una centrale elettrica, un inceneritore o, per usare un termine più sofisticato e meno invasivo, un termovalorizzatore, un aeroporto, un’autostrada, una discarica di rifiuti tossici o qualsivoglia opera a rilevanza pubblica, si levano grida di lamento e di protesta che inevitabilmente raggiungono i tavoli di amministrazioni locali e prefetture. Spesso è addirittura il progetto stesso che induce in discussioni ancor prima di diventare realtà e tale effetto può spiegarsi sotto un duplice profilo: da un lato è evidente come prevalga, avvolto nella sua sfera di

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