Ciò significa che l'assistito deve utilizzare esclusivamente il proprio reddito e che Comuni, Provincie e ASL non possono pretendere contributi economici dai parenti delle persone assistite a domicilio o ricoverate. L'integrazione della retta, ove necessaria, compete esclusivamente al Servizio Sanitario Nazionale e ai Comuni di residenza. Ogni richiesta avanzata ai parenti è illegittima e, ove supportata da minacce di esclusione dal servizio o di recupero forzoso dei presunti crediti, integra addirittura il reato di estorsione.
     Chiunque abbia sottoscritto la dichiarazione di impegno nei confronti dell'ente assistenziale ha dunque diritto di revocarla, in quanto la stessa gli è stata imposta ed è contraria alle leggi vigenti. Può quindi pretendere che la quota di retta eccedente il reddito dell'assistito venga ripartita al 50%, secondo le disposizioni di legge, tra il Servizio Sanitario Nazionale e il Comune di residenza, chiedendo al contempo il rimborso di quanto illegittimamente versato dal 1 gennaio 2001 ad oggi. Qualcuno ha cominciato a muoversi in questo senso e iniziano a vedersi i primi risultati: giungono sentenze favorevoli dalla Corte Costituzionale, dal Tar del Veneto, dal Tribunale del Lavoro di Como, dal Tribunale Civile di Torino, si moltiplicano le interrogazioni nei Consigli Comunali, Provinciali e Regionali; alcuni comuni, di propria lodevole iniziativa cominciano ad applicare le nuove norme (tra questi, il Comune di Milano, seppur con decorrenza agosto 2002).
     A Bergamo tutto tace, per ora, ma in futuro, con la dovuta informazione (cui spero di aver dato un piccolo contributo). chissà.
     Per eventuali chiarimenti ed approfondimenti potete scrivere alla redazione oppure contattarmi direttamente tramite la mia e-mail:      avv.gmparisi@tin.it

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Decreto, Legislativo, 130, 3 maggio 2000, Gleno, Contribuzione, Illegittima, Parenti, Reato, Penale, Estorsione, ASL