Una mostra per raccontare del "MALE CHE FA CADERE COME PIETRE"
                                              di Francesca Frosio

     Due grandi stampe su cotone capeggiano nel cortile del quattrocentesco chiosco di Santa Marta in Treviglio. Sono ciò che si nota all'ingresso della mostra e l'ultima che si vede all'uscita. Un disegno stilizzato, come fatto da un bambino, e una foto di donne maliane: riassumono il contenuto dell'esposizione, fatta di immagini in bianco e nero e disegni che raccontano brevi storie personali, testimoni di una situazione molto più vasta. Quella di Tibu Sugu,"La malattia che fa cadere come pietre" in lingua Dogon, "epilessia" come la chiameremmo noi. In Mali, stato dell'Africa occidentale grande quattro volte l' Italia, la malattia è molto diffusa, ma i centri dove viene curata sono solo due. Essa è così comune in questa zona a causa della denutrizione, della malaria e dei matrimoni tra consanguinei. I medicinali necessari sono difficili da trovare negli ambulatori, in quanto vengono prodotti all'estero ed hanno costi elevati: la situazione è estrema, basti pensare che in Italia alcuni medicinali necessari per la cura dell'epilessia, come il Gardenal, sono distribuiti dal sistema sanitario nazionale. La diffusione delle "petit farmacie", carretti che per strada vendono medicinali senza ricetta, ha incrementato il problema, provocando anche lo smercio di farmaci di scarsa qualità. Le conseguenze sociali di Tibu Sugu sono più gravi di quelle patologiche, poiché chi ne è affetto viene spesso considerato come "posseduto dagli spiriti" ed allontanato, isolato, per paura del contagio. La mostra racconta questa realtà, senza pietà o compassione, ma testimoniando cosa succede con le fotografie e svelando i pensieri dei malati e dei loro cari con i disegni.
     Laura Morelli, artista bergamasca, avvicina le persone, le ascolta narrare la loro storia e le invita a disegnare se stessi, chi li circonda, oggetti ed aspetti della quotidianità, le loro paure, desideri, riflessioni. In una cultura orale e non scolarizzata come quella dogon è facile trovare persone che non abbiano mai disegnato, per questo i cento disegni raccolti somigliano a quelli dei bambini: a volte si distingue una figura umana, altre ci sono solo delle linee, ma non è la qualità artistica che interessa, bensì il contenuto. Il disegno diventa una chiave d'accesso per l'immaginario legato alla malattia, fatto di spiriti malevoli, di uomini invisibili e di uccelli che tengono malattie tra gli artigli. Insieme agli autoritratti ed agli utensili della cucina, il tratto incerto delinea i diavoli e gli spiriti che portano la malattia.

 
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