BANCHE: legittimato il divieto di anatocismo
                                               di Omar Gabbiadini - Consulente Tributario

     Per anatocismo, si intende la prassi bancaria in forza della quale vengono applicati sul saldo debitore, generalmente a cadenza trimestrale, i così detti interessi composti, ossia gli interessi sugli interessi. In pratica, questi vengono conteggiati dalla Banca ogni trimestre, esposti come dovuto nell'estratto conto e sommati al saldo debitore finale. Così facendo, le competenze capitalizzate nel trimestre precedente producono a loro volta allo scadere del trimestre successivo interessi che vanno a capitalizzarsi sul saldo finale, generando una spirale senza fine. Tale prassi risulta essere illegittima in quanto le clausole contenute nei contratti bancari sono nulle, perché in violazione del divieto di anatocismo sancito dall'art. 1283 c.c.
     Tale norma da ultimo citata, dispone espressamente che "in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi". Le Banche non possono invocare dunque in loro favore alcun "uso" formatosi e consolidatosi dopo l'entrata in vigore del codice civile, posto che nel nostro ordinamento gli usi "contra legem" non sono tollerati, come si desume agevolmente dall'art. 1 delle preleggi sulle fonti del diritto e la loro gerarchia.
    Quanto affermato, ha trovato conferma in una storica sentenza (Behare Sami / Banco di Napoli S.p.A., n. 2374/99) che rovescia trent'anni di giurisprudenza favorevole al sistema bancario. La Corte di Cassazione, chiamata a decidere circa l'interpretazione dell' art. 1283 c.c. ed in particolare sull'affermazione normativa secondo la quale la deroga a quanto in essa stabilito sia possibile solo in presenza di "usi contrari", ha fatto proprio il principio per cui tali usi sono solo quelli individuati dagli artt. 1,4 e 8 delle disp. prel. al c.c., e, cioè, gli usi normativi, i quali sono caratterizzati dalla diffusa e generale osservanza da parte della collettività e dalla comune convinzione della corrispondenza a disposizioni normative realmente esistenti. La Corte pertanto afferma che sono nulle le clausole che prevedono condizioni anatocistiche, considerato che in alcun modo è stata provata l'esistenza di un uso normativo che consenta agli Istituti di credito d'avvalersi di esse. In pratica, il cittadino correntista, nell'aderire alla clausola predisposta unilateralmente dal cartello delle banche, è perfettamente conscio di trovarsi di fronte ad una vessazione. Tale principio viene accolto anche da successive pronunce della Prima sezione civile (Cass. I, 3096/99 e Cass. I, 12507/99) e può oggi considerarsi "dominante" in giurisprudenza. La sentenza della Consulta incrementa l'ottimismo della ormai avviata stagione di "riscossa" contro il sistema bancario, che ben presumibilmente verrà sommerso di richieste di restituzione delle somme indebitamente carpite nell'arco degli anni (si parla di centomila miliardi negli ultimi dieci anni).

      pagina 01 di 02
 
 
 
 
 
Infobergamo® - www.infobergamo.it è un prodotto H.S.E. - Leggi la nostra CDD - Validazione XHTML - CSS
Autorizzazione Tribunale di Milano n.256 del 13 aprile 2004. Vietata la riproduzione e la riproposizione non autorizzate di testi ed immagini.
Poligrafo, Lottomatica, Stato, Bolli, Pratiche, Aumenti, Aumento, IRAP, Imposte, Bollo, Marche, Marche da Bollo