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È QUESTIONE DI UN ATTIMO
                                              di Graziano Paolo Vavassori - Direttore Responsabile

     È questione di un attimo. Basta salire su uno sgabello per raggiungere quei maledetti armadietti in cima alla cucina… scivolare ed è fatta. Si può finire sotto un’auto sebbene si attraversi un incrocio sulle strisce pedonali con il verde per il pedone, oppure sotto ad un autobus in bicicletta, per non parlare di come sia facile cadere in moto. Non è che in auto si è invincibili… c’è chi è morto perché la moto gli è entrata nel parabrezza. Questi, sono tutti eventi accaduti a delle persone che conoscevo e che oggi non ci sono più.
     Senza essere troppo drammatici, banalmente, basta scivolare sul bordo piscina mentre ci si diverte e finire per terra con il sacro ed avere la sfortuna di rompere il bacino, come è accaduto a me. Qui volevo arrivare, perché quasi un anno fa sono stato dieci giorni all’ospedale, un evento del tutto nuovo per me che all’età di quasi quarant’anni non ne ho mai avuto bisogno. Quest’anno, però, sono stato in un ospedale diverso e molto distante da casa mia.
     È facile parlare bene o parlare male di un posto senza avere un termine di paragone. Ora non è più così, tuttavia, preferivo non avere questa esperienza e rimanere nel dubbio e finire come meritavo le mie vacanze sulle mie gambe.
     La prima settimana dopo l’incidente è stata dura a causa del dolore. La rottura del bacino non è cosa da poco, anche se si tratta di piccole lesioni. A volte cerco di immaginare cosa sentono quelle persone che hanno distrutto il bacino, per il quale i medici hanno dovuto inserire dei supporti in metallo fino alla saldatura… mi vengono i brividi alla pelle. Non ho il diritto di lamentarmi io! Tuttavia, per quanto dolorosa, questa settimana di esperienza in un altro ospedale la ricordo con piacere, perché intorno a me ho avuto delle persone gentili e premurose, che si sono prese cura di me in ogni dettaglio. Non hanno fatto semplicemente il proprio lavoro, hanno fatte ben oltre, senza nessun impegno, senza forzature. Soprattutto, mi hanno ascoltato, non hanno tratto delle conclusioni affrettate. Prima di ogni cosa mi hanno sempre chiesto che cosa sentivo e con pazienza hanno ascoltato la mia descrizione della situazione. Tutto ciò è di grande aiuto per il paziente quanto per il medico, perché l’obbiettivo comune è quello di non avere dolore o, almeno, di mitigarlo il più possibile.
     Detto questo, ognuno ha un proprio compito. È vero che quando stiamo male siamo incazzati con il mondo, ce l’abbiamo con tutti, ma è sbagliato prendersela con chi ci sta vicino. Noi dobbiamo essere sempre gentili e rispettare gli altri, dobbiamo essere appunto “pazienti”, vedrete che troverete dall’altra parte qualcuno che vi contraccambierà allo stesso modo. Loro, però, oltre ad essere preparati nel proprio lavoro, devono avere quel qualcosa in più che non viene insegnato a scuola: si tratta di umanità, di intelligenza emotiva. A seguire vengono la passione per il proprio lavoro, l’altruismo e molta pazienza.
     Rimane un fattore esterno non di poco conto, sul quale io mi sono sempre soffermato ed impuntato: è l’ambiente di lavoro. È inutile, se si finisce nella struttura sbagliata non c’è molto da fare, stiamo male noi, si trova male il personale ed è difficile trovare un minimo di serenità. Non dico che ci si debba per forza trovare in una struttura all’avanguardia, è sufficiente che sia il luogo attrezzato e che rispetti dei canoni più a portata di paziente, come delle camere con soli due posti letto, una struttura che assomigli in qualche modo ad una abitazione, un minimo di attrezzatura a portata di mano ed un protocollo moderno e rispettato da tutti.
     Se si finisce in un posto come il Policlinico San Matteo di Pavia, il San Luigi di Orbassano (TO) o i Riuniti di Bergamo non c’è molto da farsi illusioni e non si può biasimare nemmeno più di tanto il personale, sebbene, ad onor del vero, c’è qualcuno che anche in queste strutture fatiscenti si distingue dagl’altri.
     Chiudo questo editoriale salutando di cuore tutti coloro che mi sono stati vicini la prima settimana di cura dopo l’incidente, un gruppo di persone straordinario che mi ha ascoltato e compreso, un gruppo di persone con tanta passione, che ha fatto più di quanto si richiede ad un dipendente di un ospedale, ma che a noi è servito moltissimo in quanto eravamo anche molto lontani da casa. Poi ringrazio vivamente l’equipe medica e tutte le infermiere della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, nella quale ho trascorso due settimane prima di essere dimesso.
     Comunque, con tutto il rispetto, nulla è più bello di casa mia…

 

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