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11 GIORNI DI OSPEDALE
                                              di Graziano Paolo Vavassori - Direttore Responsabile

     Questo mese Infobergamo.it ha rischiato di essere pubblicato da un letto di ospedale. Ricordandovi che mi occupo io dell’impaginazione del giornale e della pubblicazione, un fatto è certo: è stato quasi interamente preparato da un letto di ospedale. È il bello della tecnologia on-line, che consente ad un periodico telematico di essere realizzato ovunque.
     Durante la mia degenza, nulla di grave per fortuna, ho osservato ed ho potuto trarre delle considerazioni che, se vi interessano, possiamo condividere. Innanzitutto è necessario veramente distinguere le strutture pubbliche da quelle private: c’è una enorme differenza. Nell’hotel dove ho alloggiato io per ben 11 giorni (“mica patatine”) nel reparto di Medicina Generale, essendo una ex struttura privata, la differenza si vede, dall’aspetto estetico ai confort, dai servizi al personale. Credetemi, la differenza è notevole e per un malato è fondamentale vivere i propri problemi in un ambiente a misura d’uomo. Ecco, l’espressione giusta è “a misura d’uomo”, così come la nuova struttura ospedaliera di Bergamo è stata concepita e che presto entrerà in funzione o come quella di Pavia, che sostituirà il fatiscente Policlinico della città.
     Il personale. Qui ho trovato del personale veramente straordinario. A prescindere dalla équipe medica, dove è fondamentale la loro preparazione per guarire ed è fondamentale, ma non scontata, la loro propensione ad avere una intelligenza emotiva, mi riferisco al personale ospedaliero, dall’infermiera diplomata o la caposala a quelle che semplicemente rifanno i letti o puliscono la stanza, ho trovato una gentilezza ed una disponibilità difficili da eguagliare fuori di qui. Per questo io non posso fare altro che ringraziarle, tutte quante. La gentilezza e la disponibilità sono la prima medicina di cui un malato ha bisogno e non è scontata, non è obbligatoria. Chiaramente anche noi dobbiamo fare la nostra parte ed essere degli ospiti corretti. Non è facile il loro lavoro, i turni non sono leggeri, c’è la notte, poi non è che si fanno prelievi del sangue e cambio delle flebo, ci sono pazienti che vanno lavati, che vanno assistiti con pazienza perché la testa “non è del tutto connessa”, ci sono quelli che si sporcano non per loro volontà e vanno rimessi a posto, ragazzi, non è facile lavorare in un ospedale…
     Mi metto nei panni dei malati gravi, di quelli che soffrono, di coloro che hanno dolori e che devono essere costantemente seguiti, per loro è importante essere circondati da questi angeli che ti rendono più piacevole la permanenza in ospedale. A questo punto una domanda che sorge spontanea è: perché non è così dappertutto? Non è facile rispondere, ma qualche idea ce l’ho. In una struttura pubblica e fatiscente è difficile anche per loro lavorare, esattamente come per qualsiasi ambiente di lavoro nel privato o nel pubblico. Poi c’è sicuramente una sorta di selezione del personale: in una struttura che una volta era privata sicuramente la scelta del personale è stata accurata. Basta andare in un banco informazione per accorgersene. Avete mai provato a chiedere informazioni in un ufficio INPS o nella Camera di Commercio? Che fastidio rispondere, eppure è il loro lavoro. Infine c’è sicuramente una certa selezione naturale, ovvero, un dipendente che si trova male in un luogo di lavoro cerca di spostarsi in una struttura migliore e, trovandosi bene, non ha motivo di cambiare né di lavorare male. Con questo non voglio dire che nelle strutture pubbliche vi sono solo diavoli, ma gli angeli se ne vanno dove possono lavorare con maggior serenità.
     È assurdo, ma il diavolo qui è rappresentato proprio dal “parente”. Disturbatore ed indisciplinato, se ne frega totalmente delle regole. Gli orari delle visite… “perché esistono?” Se c’è una porta con un cartello sul quale vi è scritto “tenere chiusa la porta” ci sarà un perché, no? Evidentemente la sera entrano le zanzare e ce le ritroviamo in camera noi la notte, mentre tu, parente, te ne torni al tuo bel comodo letto. Poi manca il rispetto per gli altri pazienti: non è che si può entrare in sei in una stanza e, in più, parlare ad alta voce come se si fosse in osteria. Se il paziente è in grado di alzarsi, è il caso di usufruire delle salette apposite per divertirsi e chiacchierare. Diversamente, poche persone per volta, perché l’altro compagno di stanza potrebbe avere mal di testa, come nel mio caso, essere in una fase di necessario riposo dopo una terapia.
     Prendo come esempio il reparto Oncologia… già non è facile combattere una patologia di questo tipo, se poi manca una certa tranquillità nella propria camera la si vive veramente male, senza contare che, essendo una malattia che necessita di cure particolari con possibili e notevoli effetti collaterali, vi sono delle regole da rispettare. Dopo la chemioterapia è possibile avere sintomi come vomito e nausea; se un parente si presenta con un profumo che ammorba l’aria, per quanto possa essere gradevole, non è detto che il malato lo sopporti, anche perché, così come cambiano i sapori del cibo durante la terapia, anche i gusti cambiano temporaneamente. Vi sono anche delle ordinarie norme di igiene da seguire: i malati oncologici hanno le difese immunitarie basse, quindi, non è il caso di venire con i capelli sciolti che sono un ricettacolo di germi e batteri. Quando sono andato a trovare un amico in reparto Oncologia (non a caso ho scelto questa patologia come esempio) ho avuto l’accortezza di lavarmi le braccia con un disinfettante, non dico di arrivare a questo, ma un minimo di rispetto va portato.
     Chiudo con delle considerazioni di carattere sociale. Il mio compagno di stanza è un milionario. Qui, suo malgrado, ha scoperto che siamo tutti uguali. Uomo tutto d’un pezzo, che dà del lei a tutti non per rispetto ma in quanto nessuno può mettersi al suo livello, cinque figli, nonostante tutti i suoi soldi è finito anche lui qui, in ospedale. Le sue condizioni di salute sono peggiorate nel giro di pochi giorni fino a non essere più indipendente. Nonostante la sua testardaggine, si è dovuto piegare alla potenza della sua malattia e, seppur non volesse aiuto da nessuno, alla fine non ha potuto fare altro che farsi assistere.
     Qui siamo tutti uguali, così come nella tomba non ci possiamo portare i soldi che abbiamo accumulato nella intera vita, non servono più. “Hai fatto fino ad oggi tutto quello che non dovevi fare per la tua salute? Adesso potrebbe essere troppo tardi. E i tuoi figli? Avvoltoi che non aspettano altro che schiatti per l’eredità, perché quando le tue condizioni di salute, inaspettatamente, sono migliorate, alla grande, grazie all’equipe medica veramente in gamba, i tuoi figli e la moglie si sono incazzati in un modo…”
     “È venuto a trovarti il figlio di un grande senatore del passato il quale ti ha detto: la vita è proprio una merda! Caro coinquilino, caro figlio di un senatore, voi, della vita, non avete proprio capito nulla, perché la vita è meravigliosa ed io ho amato ed amo ogni minuto del suo scorrere; anche se ho davanti a me mesi e mesi di terapia ogni giorno sono felice sebbene non sia miliardario.”

 

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