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GLI OPERAI BERGAMASCHI SONO I PIÙ A RISCHIO
                                              di Graziano Paolo Vavassori - Direttore Responsabile

     La storica categoria degli operai è a rischio, in tutti i settori. Anche la provincia di Bergamo non è scevra dal fenomeno negativo, anzi, preoccupa proprio il fatto che il territorio orobico, così ricco di attività commerciali, di industrie, di lavoro, subisca l’effetto della recessione economica.
     Oggi la sensazione è che l’operaio, da sempre considerato quel tipo di lavoratore che rimane fedele all’azienda fino all’età pensionabile e che può vantare un posto di lavoro magari non sempre gratificante ma assolutamente sicuro, non sia più così importante. In realtà l’operaio continua ad essere la manodopera fondamentale delle imprese, solo che ce ne sono tanti, forse troppi, e quando una risorsa risulta essere abbondante il suo valore di mercato diminuisce. In altre parole: “se non ti va bene così non c’è problema, ce ne sono altri a cui va bene”. Alla fine, per poter mangiare si scende anche a qualsiasi compromesso.
     Nel concreto, fra le righe dei quotidiani si legge dell’incendio di febbraio 2008 della Bonduelle di San Paolo d’Argon, una sorta di evento accidentale tuttavia ben gradito dall’azienda, che, guarda caso, ha deciso di non riattivare la fabbrica. Gli operai che vi lavoravano, tutto ad un tratto, non servono più. Evidentemente, la produzione della nota casa francese di prodotti agricoli in scatola è diminuita e gli esuberi, in seguito alle consuete trattative con i sindacati, verranno parzialmente riassorbiti nella filiale di Lallio. I restanti riceveranno una buona uscita concordata.
     Il progetto iniziale, tuttavia, prevedeva il trasferimento degli operai a Battipaglia, in provincia di Salerno… come dire “o ti trasferisci laggiù, lasci amici, parenti, sradichi la famiglia dal suo territorio di origine, fai cambiare scuola ai figli, cambi completamente il tuo stile di vita, oppure dai le dimissioni”. Tutto perfettamente legale, per intenderci, ma sicuramente una scelta strumentale che determina, come naturale conseguenza, le dimissioni di molti.
     Il fatto che la bergamasca non sia più un’Isola felice lo dimostrano anche altri eventi, come la Fillattice di Capriate San Gervasio che mette in cassa integrazione straordinaria i suoi dipendenti per cessazione totale dell’attività.
     Meno recente ma altrettanto importante, invece, è la liquidazione straordinaria per la Legler. Il gruppo industriale conta oggi quattro stabilimenti, da Ponte San Pietro alla Sardegna, e 1.300 dipendenti. Il settore è in crisi da molto tempo, da almeno dieci anni, forse anche di più. Le cause sono molteplici, cominciando dalla concorrenza sleale dei cinesi, che offrono tessuti a basso costo e di qualità inferiore, ma che noi non siamo del tutto in grado di distinguere, fino a giungere a noi stessi, in quanto pur di spuntare un prezzo migliore compriamo cinese. Peggio ancora, pur di sfoggiare una griffe compriamo “cinese taroccato”. Vi sono tentativi in corso di rilancio del settore in Val Seriana, storicamente il sito della qualità “Made in Italy” del tessile, ma per ora il risultato è quanto si legge sui giornali. I dipendenti della sede bergamasca, la capogruppo Legler, hanno scioperato; d’altronde che cos’altro potevano fare se non far sentire la loro voce in attesa di un acquirente, il quale, nel momento in cui scrivo, non è ancora giunto.
     Le speranze nel mondo del lavoro non sono rosee, nemmeno dopo il ritorno del Governo Berlusconi (considerato le promesse fatte in campagna elettorale). Possiamo solo combattere ognuno per sé. Giovani e meno giovani devono cercare di specializzarsi. Potrebbe sembrare naturale per i giovani questo tipo di discorso, invece è importante anche per coloro che hanno una certa età. Quando frequentavo il serale al Vittorio Emanuele di Bergamo ho avuto modo di conoscere alunni non proprio “di primo pelo”… è una grande opportunità di sopravvivenza. Se i settori, diciamo, di bassa manovalanza non sono più graditi ai giovani e non sono accettati nemmeno dai genitori, che vogliono vedere i loro figli dietro una scrivania e non con le unghie sporche di grasso, qualcuno dovrà pur occupare questi posti di lavoro. Indovinate un po’ chi sono questi lavoratori? Gli extracomunitari! Tuttavia loro, per ora, non sono in grado o non hanno interesse ad imparare i cosiddetti “mestieri”, ovvero quei lavori di manodopera specializzata che solo la bravura, il talento, l’impegno e le mani sporche portano a fare bene e garantiscono un futuro certo! L’idraulico, il meccanico, il fornaio, il gessista, l’elettricista, il caldaista, il tornitore… questi sono i mestieri, sono il futuro per i giovani, sono la continuazione per i maturi, sono quei lavori che necessitano di una certa preparazione e capacità e che, appunto, non tutti possono fare, ma se ci si riesce il lavoro è garantito… invece li stiamo perdendo. Vi sono artigiani disperati che non riescono a trovare qualcuno al quale trasferire la loro conoscenza e finiremo con il perdere la loro unica esperienza, la quale nemmeno la scuola può insegnare.

 

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