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PROCESSI E CROCIFISSIONI ALL'ITALIANA
                                              di Graziano Paolo Vavassori - Direttore Responsabile

     Ammetto di non avere molta simpatia per Flavio Briatore, il manager rivelazione della ex Benetton, oggi Team Renault Formula 1, ma apprezzo in ogni individuo la schiettezza, sinonimo di sincerità. Sinonimo, non certezza; infatti, il furbo direttore della scuderia Renault, quando gli fa comodo, racconta la sua “verità”. Ho letto l’intervista con Briatore che “Il Giornale.it” ha fatto ed ha pubblicato il 12 settembre 2007, in cui l’intervistato racconta quanto è difficile per un imprenditore lavorare o, addirittura, vivere in Italia: “Mi sento italiano ma qui è meglio non fare, così non ti molesta nessuno. All’estero, se investi ti supportano, qui ti sopportano. A fatica…” e poi, sulla politica dice “si formano le coalizioni per vincere le elezioni non per governare, una volta eletti finisce la corsa, il cittadino se ne accorge un minuto dopo, da destra e da sinistra, il totale è identico.” Infine, la frase che mi ha colpito molto: “Contro di lui ho letto e sentito un accanimento mediatico davvero esagerato, l’acredine tipica di questo Paese nei confronti di chi è arrivato in alto. Rossi è già stato condannato, è un evasore, ma sono ancora in corso accertamenti. Se ha sbagliato pagherà, ma ormai è segnato, questo è incivile.”
     Premesso che Briatore conosce meglio di noi tutti l’ambiente delle corse e quindi ha nella sua memoria dettagli e situazioni che noi non vediamo, non conosciamo ed i giornalisti non hanno potuto commentare o filmare, sono pienamente d’accordo con lui, non limitatamente al caso di Valentino Rossi, il sette volte campione del mondo del motociclismo. Quanto hanno detto e fatto gli italiani per il portabandiera del motociclismo nazionale rappresenta, ritengo, uno di quei difetti di massa che mi fanno vergognare di essere italiano. È come se il massimo godimento per l’italiano medio fosse l’eccesso. Si prova piacere nel seguire un campione crescere e vincere, vincere anche tanto, ma si tende comunque ad idolatrarlo. Poi, alla prima titubanza, sfortuna o impedimento, ecco che il campione viene schiacciato sotto il commento denigratorio del popolo. Il popolo italiano soffre di gravi mancanze nell’amore e nella famiglia ed è ormai privo di valori oggettivamente giusti da seguire; ha dei vuoti incredibili nel divertimento, non sa che cosa è il vero divertimento, così si immedesima oltremodo nei personaggi della televisione, dal motociclismo alla Formula 1, dai reality show agli eroi del cattivismo, imitandoli quando può, come il lancio dei sassi dai cavalcavia. Quando non può avere la vita che desidererebbe, ecco che si sostituisce al campione, pretendendo che esso si comporti come l’adoratore desidera.
     Una ingente responsabilità pesa sui media, non sempre tecnicamente preparati e non sempre imparziali commentatori; per vendere più copie danno in pasto ai lettori i campioni non appena si presenta loro l’occasione o anche quando l’occasione vera e propria non c’è. È il caso di Valentino Rossi, appunto, in quanto fino a che non si è giudicati colpevoli dalle autorità si è innocenti. È il caso di Cogne o di Garlasco: la gente sa chi sono i colpevoli! Ma come, se nemmeno la magistratura, i RIS o quanti altri investigano sui rispettivi casi sono riusciti ancora a trovare gli assassini, come può la massa avere le idee chiare?
     Valentino è stato accusato non di avere evaso il fisco, ma di aver immotivatamente trasferito il proprio domicilio fiscale in Inghilterra. Si tratta di un’ipotesi, perché i commercialisti del campione emiliano non hanno fatto altro che usufruire di una legge esistente. Se la Guardia di Finanza italiana riuscirà nel proprio intento, le tasse non pagate in Italia da quell’anno, di conseguenza, risulteranno evase, ma non in modo diretto e premeditato come hanno fatto altri. In ogni caso, io sono convinto che se tale faccenda finanziaria fosse trapelata nel 2005, all’apice della propria carriera, il popolo di lettori non lo avrebbe così schernito. Sono gravi, pesanti e trascendentali invece le accuse di evasione che la stampa nazionale ha addebitato a Rossi, processandolo senza appello.
     Chiudo questo editoriale ritornando al tema di poche righe fa, in merito alla famiglia ed alla mancanza d’amore che è ormai ordinaria nel popolo italiano, ma lo faccio con le parole di Don Antonio Mazzi, educatore e fondatore del progetto Exodus, prese, pensate un po’, da una pagina di Quattroruote. “La nostra società continua a moltiplicare i desideri irragionevoli dei suoi figli, anziché invogliarli all’impegno, alla fatica, all’essenzialità. […] proprio i giovani, i più dotati di fantasia in campo di trasgressioni […].”
     Nonostante il tema in cui Don Mazzi si è espresso fosse prettamente automobilistico, le sue parole sono così empiriche che si adattano a molti contesti.

 

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