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"...vedere gli occhi lucidi delle persone, sia dei bambini sia degli adulti,
che da una vita sognano finalmente di appartenere a qualcuno..."

                                              di Antonella Fasolato

     Questo mese Infobergamo.it propone un’intervista straordinaria, toccante, con la dottoressa Aliz Molnar, referente di alcune associazioni italiane accreditate, le quali si occupano di adozioni in Ungheria. Uso il termine “straordinaria”proprio perché questa intervista ci fornisce una serie di informazioni molto importanti, che riguardano la permanenza all’estero delle coppie adottive, ma più di tutto ci fa conoscere le emozioni e le paure dei minori in attesa di una famiglia, che sono sicuramente comuni ai bambini in attesa di adozione che si trovano in tutti i Paesi esteri. L’esperienza maturata sul campo, unita a una grande sensibilità e professionalità, hanno portato la dottoressa Molnar ad una felice conclusione adottiva per oltre 150 bambini in dodici anni, che non sono pochi.
     Infobergamo.it è una realtà di soli 90.000 lettori, diciamo soprattutto lombardi, e non è un periodico commerciale, ci auto-finanziamo, tuttavia, quando si tratta di cultura ed informazione, tanto più in ambito sociale, recarci fino in Veneto per incontrare Aliz è stato un grande piacere, soprattutto se per pranzo ci si è fermati in uno di quei posti dove il numero elevato di quei tipici veicoli da muratore ti fanno presagire che si mangia bene… e così è stato.
     Ci può dare alcune informazioni sul suo percorso professionale e personale?
     “Sono entrata nel mondo delle adozioni nell’anno 2002 e devo dire che l’occasione mi si è presentata così, casualmente. In quel periodo ero collaboratrice del Consolato Onorario dell’Ungheria a Venezia ed ero stata chiamata per fare un servizio di interpretariato per una associazione, la quale veniva a depositare la propria richiesta di autorizzazione a svolgere l’attività di adozione in Ungheria. Da una piccola amicizia iniziale, l’associazione mi ha proposto di fare la referente. Il mio percorso formativo è nato con loro, presso la loro sede in Italia, dove, attraverso i corsi di formazione, ho potuto conoscere tutte le normative vigenti che riguardano le adozioni e le leggi in merito alla famiglia e ai minori, ho anche avuto modo di conoscere le persone che collaborano e operano in questo settore. Sono diventata ufficialmente Referente di Adozioni in Ungheria. La mia esperienza con le coppie adottive, invece, nasce proprio sul campo, conoscendole e affiancandole nel territorio ungherese.”
     Che tipo di attività ha svolto per queste associazioni?
     “Possiamo dire che il ruolo di referente delle adozioni è un ruolo molto complesso; inizia al ricevimento del dossier della coppia adottiva e prosegue con l’accompagnamento, fino alla chiusura della pratica di adozione della coppia. Quando arriva, in Ungheria, il dossier con la domanda di adozione, la referente deve depositare i fascicoli delle coppie nella Banca Dati Nazionale, presso il Ministero per la Gioventù e la Famiglia, Affari Sociali e Pari Opportunità, e al fascicolo viene assegnato dal Ministero un numero di protocollo. Inoltre, ella collabora anche all’individuazione del minore da proporre alla coppia adottiva, quindi c’è anche un lavoro sull’abbinamento. Nella maggior parte dei casi, i referenti vengono chiamati proprio dal Dipartimento della Tutela minorile, affinché possano ricevere maggiori informazioni anche sull’aspirante coppia adottiva, in quanto, a volte, dalle informazioni depositate nei fascicoli non emergono sempre tutte quelle sfumature che possono essere molto preziose per capire l’abbinamento migliore da proporre ad una determinata coppia.”
     I bambini dichiarati adottabili sono informati della loro situazione e che aspettative hanno?
     “Questo dipende molto dalle modalità operative delle diverse province; nella maggior parte dei casi, i bambini vengono preparati molto bene e anche informati sul fatto di essere adottabili. Quando si tratta di bambini più piccoli, l’assistente sociale o la referente valutano come egli può accogliere questa notizia. I minori vengono informati e preparati dicendo loro che riceveranno la visita di due persone, le quali hanno il desiderio di conoscere loro, difficilmente si parla di adozione in questa fase, ed io penso che sia una procedura giusta. Parliamo di bambini che hanno subito dei traumi e che hanno un bagaglio personale molto pesante, è importante comunicare loro le notizie con tempi molto lenti e in modo graduale. Per questo non parliamo a loro subito di adozione, ma della possibilità di incontrare due persone che voglio conoscere proprio lei o lui. Questi bambini hanno già avuto tante delusioni dalle persone adulte, quindi bisogna procedere con cautela. Noi lasciamo sempre una porta aperta perché i minori, indipendentemente dall’età, devono sempre sentirsi nelle condizioni di poter decidere e scegliere. Noi referenti, se vogliamo operare bene, nel loro pieno rispetto, dobbiamo sicuramente ascoltarli e seguire le loro richieste.”
     Quali sono le loro maggiori paure?
     “Posso dire personalmente, dopo aver assistito all’adozione di molti bambini, che nella maggior parte dei casi le loro paure principali sono proprio queste: ‘Che cosa penseranno di me?’ ‘Mi faranno del male?’ ‘Mi ascolteranno?’ ‘Chissà fino a quando mi vorranno bene…’ ‘Potrò fidarmi?’ ‘Come faremo a capirci?’ A volte le paure, anche per le coppie adottive, si concentrano tutte intorno alla mancanza della conoscenza della lingua, ma poi si capisce che è un ostacolo veramente minimo e che subentrano altri fattori molto più importanti. I bambini si chiedono anche se saranno amati e accettati incondizionatamente, per loro c’è anche la condizione di dover lasciare le proprie radici, le proprie origini. Quando viene detto loro che andranno a vivere in Italia, tante volte non sanno nemmeno dove si trova questa Italia, non si sono mai spostati dalla loro zona e non sanno cosa vuol dire conoscere un’altra lingua e un’altra cultura.”
     Come avviene il primo incontro tra il minore e la coppia?
     “Il primo incontro avviene spesso presso l’abitazione della famiglia affidataria, che ospita il minore. Devo fare una premessa: nella maggior parte dei casi, attualmente, in Ungheria, una gran parte dei minori in stato di abbandono sono affidati alle famiglie affidatarie anziché alle Case Famiglia o ai vari Istituti Statali. Gli aspiranti genitori adottivi, prima di andare all’incontro con il minore, fanno un colloquio con la loro referente adozioni e la Referente del Centro Adozioni per la Tutela Minorile, dove vengono fornite tutte le informazioni aggiornate sui minori, cerca di suggerire dei consigli agli aspiranti genitori in attesa trepidante ed emozionatissimi. Presso la famiglia affidataria, il minore è già stato preparato, quindi è lì in attesa di conoscerli.”
     “Il primo incontro è magico, sia per la coppia adottiva sia per il minore, anche quando esso rimane un po’ timido o diffidente, specialmente se si parla di bambini più grandi, in ogni caso, rimane un momento speciale. Il primo istante è unico ed è la fase più magica che si possa vivere durante tutto il percorso adottivo. Quando i genitori e il figlio si vedono per la prima volta, scatta qualcosa, un’alchimia speciale attorno a questo momento carico di emozioni.”
     “Per la prima visita noi consigliamo sempre di non fermarsi mai per troppo tempo e data la grande emozione che si concentra in tutti quanti, consigliamo di fermarsi per un’ora o un’ora e mezzo al massimo. Durante questo tempo si prende una bibita o si mangia qualcosa, ospitati dalla famiglia affidataria, che, nella maggior parte dei casi, è collaborante e ci dà anche una mano. Purtroppo, ci sono delle situazioni in cui la famiglia affidataria non è collaborativa, ma comunque, con la nostra presenza costante, questa situazione si può superare.”
     “Al momento dei saluti domandiamo sempre al minore se ci vuole rivedere il giorno dopo e gli chiediamo cosa vuole fare o dove vorrebbe andare ed iniziamo a progettare il prossimo incontro. Al secondo incontro si allunga il tempo di permanenza con il minore e così per i giorni successivi, fino ad arrivare alla fine della quinta o sesta giornata trascorsa insieme tutto il giorno. L’obiettivo è quello di conoscersi il più possibile per poter decidere responsabilmente di andare dal Giudice Tutelare a decretare l’Affido Preadottivo, il quale prevede un periodo di trenta giorni da trascorrere in Ungheria con il minore.”
     Come prosegue il percorso di conoscenza tra il minore e la nuova famiglia affidataria?
     “Nel momento in cui viene rilasciato il primo decreto, che riguarda appunto l’affido preadottivo, i coniugi e il minore iniziano questo periodo di convivenza preadottiva presso un’ abitazione, che può essere un appartamento o una casa in affitto. Durante questo mese, i coniugi vengono sempre seguiti, ricevono visite domiciliari dai collaboratori delle province una volta a settimana e in alcuni casi solamente un paio di volte al mese, dipende dall’andamento. Il referente, invece, cerca di essere sempre disponibile o raggiungibile telefonicamente, per seguire la coppia e i minori.”
     Quanto tempo passa dal momento dell’incontro a quello del trasferimento in Italia?
     “Trascorrono complessivamente circa sei settimane. La prima settimana, dal primo incontro al rilascio del primo decreto, riguarda l’affido preadottivo, poi un mese di affido preadottivo, terminato il quale viene emesso il secondo decreto, che riguarda l’autorizzazione all’adozione; quattro o cinque giorni lavorativi per ricevere il nuovo passaporto per il minore, i documenti necessari per l’espatrio e l’autorizzazione all’ingresso dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, che ha la sede a Roma. Vorrei qui soffermarmi un attimo, perché la legge dice che il periodo preadottivo è di un mese, ma nel caso di problemi particolari, come la difficoltà ad inserirsi, l’Ufficio Tutelare insieme ai Servizi Sociali di competenza possono decidere di prolungarlo.”
     Durante la convivenza con il minore all’estero ci sono momenti di criticità? Come vengono affrontati?
     “Le difficoltà possono essere tante. Secondo la mia esperienza personale, posso dire che a volte ci sono dei bambini che non hanno elaborato del tutto i vari traumi subiti durante l’abbandono e in questo caso hanno bisogno di maggior tempo per potersi affidare ad una nuova famiglia. La prima settimana di convivenza, di solito, è molto rosea, ci sono tante novità, vedono e fanno cose che magari non hanno mai fatto prima, dopo, si entra nella normalità della vita quotidiana e ci sono delle regole. Noi collaboratori consigliamo sempre ai genitori di mettere dei paletti, i bambini devono capire che i genitori ci sono e vogliono loro bene, ma devono anche fare dei passi per andare loro incontro e nel momento in cui capiscono di non essere in un parco giochi a volte vanno in crisi. Sicuramente la paura di dover imparare una lingua completamente diversa e di dover lasciare alle spalle il proprio Paese, degli amici e anche la famiglia affidataria, per tanti bambini è difficile, specie per i più grandicelli. A questo punto, noi, con la coppia adottiva, possiamo e dobbiamo, con molta pazienza, sensibilità e la capacità di trasmettere affetto, rendere meno doloroso questo percorso.”
     C’è qualche aspetto negativo nel fare il lavoro di Referente?
     “Sì, è un’ottima domanda, perché quando si parla di adozioni e del lavoro comune di persone, con lo stesso obiettivo e gli stessi desideri, si parla sempre di realtà positive. Tutte le persone che collaborano al percorso adottivo si trovano ad affrontare delle situazioni che coinvolgono molto intensamente a livello emozionale, dobbiamo essere molto bravi a rimanere neutri per riuscire ad aiutare le coppie e i minori, senza influenzarli, ed anche senza portare a casa, noi stessi, i loro problemi. Gli attrezzi di lavoro principali per noi sono la nostra serenità e tranquillità e questo è un aspetto molto importante.”
     Qual è la più grande soddisfazione che il suo lavoro le porta?
     “È molto difficile trasmettere quello che sento con le parole, vedere gli occhi lucidi delle persone, sia dei bambini sia degli adulti, che da una vita sognano finalmente di appartenere a qualcuno, è un’emozione unica, la maggiore soddisfazione è proprio questa, vedere le nuove famiglie che si formano, create con tanto affetto e amore. Nell’arco di dodici anni, dal primo incontro con la mia primissima coppia adottiva, posso dire che ci sono 150 bambini adottati in Italia con il mio intervento. Alcuni di loro, diventati grandi, mi telefonano e mi chiamano ‘zia’.”
     Ci parli dell’associazione che sta creando.
     “Sin dal primo giorno in cui ho iniziato a lavorare come Referente Adozioni, ho cominciato a pensare a come avrebbe potuto essere una Associazione creata da me; questo mio desiderio è cresciuto nel tempo, anche acquisendo esperienza nel mio lavoro. Da circa un anno sono inattiva, perché ho cambiato la mia residenza e mi sono trasferita definitivamente in Italia, ma adesso sto per realizzare questo mio sogno. Mi serviranno ancora alcuni mesi per avere tutti i permessi che occorrono, per ora preferisco non dire altro e spero alla prossima occasione di potervi dare maggiori informazioni.”
     Solitamente non concludo le interviste con un mio intervento, ma proprio in questa occasione mi sento di aggiungere qualche parola.
     Un ringraziamento particolare ad Aliz per il suo operato a nome di tutte quelle famiglie che oggi, grazie a lei, stanno vivendo l’emozione di essere una famiglia adottiva ed io ho la grande gioia e fortuna di essere stata una di queste famiglie. Mi sento di farle anche un’esortazione a proseguire il suo progetto per poter dare questo grande sogno ad altri minori e ad altre coppie.

 

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