La torre civica di Bergamo, da tutti conosciuta come “Il Campanone”, domina dall’alto Piazza Vecchia ed è da sempre uno dei simboli di Città Alta. Fu costruita dalla potente famiglia ghibellina dei Suardi-Colleoni a cavallo fra l’XI e il XII secolo e considerata come “torre gentilizia”, ma ben presto divenne la sede del Podestà. Nel corso degli anni divenne luogo ospite delle prigioni della città, situate presso il lato est della torre, dal 1363; tutt’intorno ad essa, in Piazza Vecchia, sorsero poi i palazzi del potere civile, Palazzo Podestà, Palazzo della Ragione, Palazzo Nuovo, e religioso, il complesso della Curia Vescovile, i luoghi di culto, il Duomo, Santa Maria Maggiore, la Cappella dei Colleoni, qualche istituto culturale, Palazzo dell’Ateneo, e le innumerevoli botteghe degli artigiani. Fin dal tempo che fu, insomma, il Campanone è sempre stato il fulcro intorno al quale ruotava, e ruota tutt’ora, la vita in Città Alta.
All’epoca della costruzione era alta 37,7 metri, mentre oggi, a seguito dei rialzi successivamente realizzati, tocca i 53 metri circa. Ottimo osservatorio di Città Alta, questa torre è inserita nell’ambito di un progetto globale di ristrutturazione e sarà destinata a diventare sede del Museo storico cittadino, unita al complesso adiacente del Palazzo del Podestà.
Antica costruzione anteriore all’anno Mille, alcuni scritti dell’epoca sostengono il suo uso primitivo esclusivamente di tipo bellico, tant’è che fu utilizzata dalla famiglia Suardi durante le tremende lotte che funestarono la città di Bergamo negli anni 1141, 1179 e 1185. Verso la fine del XII secolo, quando a causa delle aumentate esigenze dell’Amministrazione civile e politica del Comune fu eletto un Podestà, dopo la sua sistemazione in case private, egli prese alloggio nella ex “Domus Suardorum”, ovvero la torre, che divenne quindi di libera proprietà del Comune. Tutto ciò fu anche naturale conseguenza del fatto che Bergamo, analogamente alle città a lei confinanti nel tentativo di porre fine alle lotte continue, aveva perentoriamente obbligato con minaccia di gravi pene tutti coloro che possedevano torri o fortilizi a farne consegna al Comune stesso.
Originariamente, la sommità della torre terminava con quattro bassi piloni sormontati da un tetto in legno a travi, ma il 7 settembre 1486, mentre si suonava a festa e si facevano fuochi di artificio in segno di gioia, accidentalmente, il tetto prese fuoco e in breve fu completamente distrutto insieme al castello che alloggiava le campane. Il Civico Consiglio del Comune fece subito restaurare la torre disponendo però che la sua sommità venisse ultimata con arcate in pietra, più sicure. L’incarico della ricostruzione fu affidato a Bartolomeo Maffeis di Ponte San Pietro, detto “il Morgante”, che assunse l’appalto delle opere al prezzo di 24 lire imperiali “al cavezzo”, obbligando però la città alla fornitura di pietra, calce, sabbia, ferramenta e legnami. Secondo il progetto del Morgante, la torre doveva essere ultimata con un cornicione sovrastante una balaustrata e con gli stemmi del Contarini e del Mauroceno.
Nel 1552, quando il Morgante morì, i lavori continuarono, ma la primitiva idea di ultimazione della torre sembrava al Comune poco consona ad una torre di tipo militare, quindi si stabilì di sostituire la balaustrata con un più severo parapetto di ferro, tutto attorno alla cupola centrale, mentre gli stemmi previsti non furono eseguiti. Inoltre, nel 1639, sulla sommità fu posizionata la statua in rame del Protettore Santo Alessandro e tutta la superficie intorno fu ricoperta con solide lastre di piombo; disgraziatamente, nella notte del 25 giugno 1681, un violento incendio, che si disse provocato da un fulmine, distrusse la statua e le lastre di piombo caddero liquefatte tutto intorno.
Il Campanone, nel suo assetto originario presentava un’altezza dal suolo pari a 37,70 metri e la sua sommità era coronata da quattro merloni angolari, i quali dovevano sorreggere la copertura. Non erano presenti volte, nemmeno sulla sommità; quelle che troviamo documentate in uno scritto del 1834 furono aggiunte in un secondo tempo. Sia il piano di uso sommitale quanto le scansioni orizzontali interne (i piani intermedi) furono realizzati con impalcati lignei poggianti su travi alloggiati in fori pontai quadrati, poco profondi (una sorta di nicchie) presenti a coppie sui due lati opposti dei vani, a diversi livelli: questi fori furono forse utilizzati anche per l’appoggio di una scala lignea interna, simile a quella rappresentata in un documento del 1834, mantenuta fino a qualche decennio fa, quando venne sostituita da quella attuale in cemento.
La porta d’ingresso era in posizione elevata, a circa quattro metri dal suolo, e l’accesso alla stessa avveniva attraverso una scala lignea esterna: al primo livello, sottostante alla porta stessa, vi era un vano quadrato di soli 2,50 metri quadrati, al quale si accedeva attraverso una botola; tali strutture, riscoperte solo nel 1902, furono definitivamente cancellate nel 1960, quando furono avviati i lavori per la costruzione del vano di alloggio dell’ascensore. La presenza di una scala in legno esterna e, probabilmente, di vari ballatoi è testimoniata da molti documenti dell’epoca, ma, nel 1838, la maggior parte di essi furono distrutti da un vento eccezionale, tanto che la torre rimase per molto tempo inaccessibile. Tracce di tali strutture sono oggi ravvisabili sui paramenti esterni e nelle due coppie di mensoloni in pietra situati sui lati nord e sud della torre, poco sotto il piano d’uso sommitale, destinati ad alloggiare una enorme trave orizzontale a sostegno del ballatoio.
Tutte queste caratteristiche, in particolare la scarsità di aperture della torre verso l’esterno, unita all’esistenza di un vano utile all’interno, fanno supporre che la funzione dell’edificio non fosse di residenza, come era invece per molte altre torri medioevali di Bergamo, bensì puramente di rappresentanza, all’occorrenza difensiva, come suggeriscono anche molti scritti letterari e documentari del XII secolo. Per la datazione dell’edificio, gli elementi utilizzati sono la porta finestra d’ingresso, la sola non occultata da aggiunte effettuate a posteriori, la tessitura muraria e il rapporto della torre con gli altri corpi ad essa accostati, in particolare l’Hospitatum Potestatis, il Palazzo del Podestà, ad essa affiancato.
Nel 1551, i lavori di costruzione della torre erano quasi ultimati, mancava soltanto il legname per la copertura e l’incastellatura delle campane. Venne utilizzato legno di larice, mentre un grosso quantitativo, da utilizzare per la costruzione del tetto, fu acquistato da un certo mastro Donato di Valleve, mentre le travi destinate a sorreggere le campane furono acquistate dal Morgante, il quale si recò personalmente a Milano per cercare i tronchi adatti. Inoltre, durante le festività natalizie dello stesso anno, il Morgante fece un viaggio a Venezia per studiare il funzionamento delle campane della basilica di San Marco, “perché ogni cosa si comprende assai meglio vedendola che sentendosela riferire”. Prima di essere issate in cima alla torre, il 15 febbraio 1552, le campane, pronte da tempo, furono ovviamente benedette.
La campana maggiore, detta per consuetudine “il campanone”, ebbe tutta una seria di controversie e rifacimenti prima di essere approvata dal Comune, che ne aveva affidato l’incarico per la fusione a Bartolomeo Pesenti. L’ultima e definitiva fusione avvenne il 23 marzo 1656 e “il campanone” fu benedetto nel 1658 dal Cardinale Gregorio Barbarigo. Secondo gli scritti dell’epoca, essa era “di mille pesi”, ma ciò non è reale in quanto non si tenne alcun conto del calo normale che si verifica durante l’operazione di getto e di fusione, il suo peso in realtà è di “seicentottanta pesi”, circa 680 kg.
Il suo suono chiamava a raccolta i cittadini per le solenni ricorrenze civili, storiche e religiose, annunciava l’ingresso dei Magistrati e di Vescovi, le riunioni dei Maggior Consigli e festeggiava le glorie militari e le vittorie dei bergamaschi. Per anni fu la voce della città, tant’è che da essa prese anche il nome un giornale, appunto, “Il Campanone”, settimanale cattolico ispirato alla dottrina di Leone XIII, pubblicato dal 1885 al 1913.
L’uso del campanone, unitamente alle due campane minori, che gli facevano compagnia nel secolo XV, era disciplinato da regole ben precise: lo suonavano i “ballotini”, anticamente chiamati “servitores communis Pergami”, e più tardi “valletti” o “uscieri”, che vestivano un uniforme del Comune dai colori giallo e rosso. Di notte, dall’alto della torre comunale, a turno montavano la guardia ed ogni ora “davano la voce” alle guardie della Rocca, della Cittadella e del Castello. Loro compito era suonare le campane del Comune secondo prescrizioni ben precise, così come possiamo leggere nel “Capitolare”, che si trovava nell’Archivio del Comune e ora è custodito nella Civica Biblioteca: “la città avrà quattro servitori, uno dei quali starà sulla Torre del Comune di giorno continuamente, tre per turno di notte, ed ogni ora daran la voce alle guardie delle fortezze. Suoneranno le campane almeno tre volte prima della seconda ora di notte ed il terzo suono durerà un quarto di ora. Suoneranno inoltre in caso di incendio e di allarme ed in tutte le ore degli offici di terza, nona e vespri, l’Ave Maria del mattino e della sera, la diana nelle ore competenti, i vespri solenni delle vigilie. Essi custodiranno la torre e le campane, non permetteranno ad alcuno di salire sulla torre o di toccare le campane sotto pena da infliggersi ed avranno ogni cura perché le campane non si rompano”. A seguire, una minuziosa descrizione delle altre occasioni nelle quali suonare le campane, e per quanto tempo… descrizione così minuziosa che ci vien di fatto di pensare che essi siano gli antenati della burocrazia moderna!
Tornado alla costruzione della torre, l’edificazione della copertura in legno a quattro spioventi si svolse durante l’estate del 1952 e, successivamente, si ricoprì la struttura in legno con lastre di rame fissate con chiodi ricoperti di stagno. Durante tali lavori, fu necessario disfare parte dell’opera compiuta per poter collocare, in cima al tetto, una sfera di legno rivestita in rame e un pennone con la bandiera con dei blasoni dipinti, probabilmente gli stessi dei tre stemmi in pietra già collocati sulla sommità della torre. Alla fine dell’anno fu portato in cima anche il nuovo orologio da collocare nell’apposito casello.
Analizzando i documenti dell’epoca, si trova anche un contratto stipulato con mastro Giovanni de Grigi, bollatore della città (cioè funzionario responsabile dei pesi e delle misure) per “fabricargli a tutte sue spese et di suo bon fero un orologio per la torre del Comune tutto di novo, di quella grandezza come si ritrova il presente vecchio da sonare le hore a dodici”, opera che fu realizzata nel giro di cinque mesi e che fu pagata venti scudi ed una lira. Non è ben chiaro, però, quando l’orologio fu qui trasportato dalla sua antica collocazione, un angolo dell’attuale Palazzo della Ragione: secondo alcuni, esso sarebbe stato presente nella torre già dal 1407, secondo altri fu trasferito solo nel 1486; un indizio certo in tal proposito lo avrebbero forse potuto offrire le strutture originarie del casello nel quale fu successivamente inserito, ma esse sono state demolite in questo secolo per la costruzione dell’ascensore.
Nei primi mesi del 1553, il cantiere si fermò, forse a causa di qualche difficoltà di tipo economico, ma l’intera città fremeva per poter sfoggiare la nuova torre e le sue campane in una occasione più che solenne: la Pasqua. Mancavano parti importanti, non ancora terminate, non da ultimo mancava la scala per accedere alla nuova cella campanaria. Dopo oltre due di anni d’interruzione, nel 1555, non più sotto la direzione del Morgante, ma di un semplice muratore di nome Giovanni Zinetti, fu approntata la costruzione della scala e furono effettuate le ultime migliorie; il cantiere terminò definitivamente nel 1556.
Il Campanone è stato sempre al centro delle storie della città, belle o brutte che siano: le campane suonavano per richiamare la cittadinanza a festeggiare il santo patrono, i sovrani in visita alla città o l’erezione dell’albero della libertà (1797); suonavano anche in occasione dei momenti tragici, come i ripetuti incendi che l’hanno coinvolta, insieme agli edifici adiacenti, oppure suonavano in occasione dei momenti di quotidianità, come i famosi “100 rintocchi” che segnavano il momento della chiusura delle porte d’ingresso della città. Da allora fino ad oggi, ogni sera, alle dieci, la campana suona ancora i 100 rintocchi, in memoria dell’antico coprifuoco.
L'articolo è stato realizzato con l'ausilio dei testi denominati:
“La Torre Civica – archeologia e storia”, di Andrea Zonca – Comune di Bergamo, 1993
“La Torre Civica di Bergamo nelle pagine della storia”, di Tancredi Torri – Giudici editore, 1955
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