Le diversità territoriali e la percezione delle leggi sono sempre state un problema per il Paese, da nord a sud, cosicché non è improbabile assistere a contrapposte applicazioni normative che, a seconda di luoghi, latitudine e consuetudine vengono recepite e fatte osservare scrupolosamente o, viceversa, vengono del tutto ignorate. Fatto sta che in Italia, come di prassi, non c’è limite al dilagare delle stranezze e all’esagerazione. Gli stabilimenti balneari sono diventati una manna per i gestori e nessuno si pone il problema di salvaguardare il demanio marino prevedendo spiagge libere attrezzate di docce, come per esempio in Francia, dove il fenomeno è stranamente rovesciato, e limitando l’abuso di concessioni.
     Protesi a monetizzare e a consumare il territorio si pensa solo ad implotonare le masse gioiose dei vacanzieri nei lidi, obbligandole alla scomoda ed irritante convivenza gomito a gomito, a pestarsi i piedi gli uni con gli altri, ma indorando la pillola con invitanti offerte dolciario-gastronomiche ed una sequela di accattivanti aperitivi che, come una triste metafora di vita, mortificano la bellezza del mare e il suo suadente mistero barattandolo con un artificiale e ingannevole benessere.
    
     E il nostro bagno garantito dalla legge e vietato dalle ordinanze? Immaginiamo di arrivare in prossimità della spiaggia. Attraversiamo uno stabilimento per raggiungere il mare. Devono farci passare, è una legge dello Stato. A quel punto siamo in riva al mare. Via maglietta, bermuda e infradito, telo appoggiato in terra, rincorsa… «Scusi?» È il bagnino, l'ordinanza vieta di lasciare lì qualsiasi cosa. E noi siamo senza avvocato. Si torna su. Cambio veloce in auto o in hotel e via con gli slip e basta, sul marciapiede verso il mare… «Scusi?» È il vigile; giustamente fa notare che «sa, per il decoro… l'ordinanza… non si può stare in slip fuori dalla spiaggia.» E il bagno? Meglio una doccia.

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