coinvolto diverse migliaia di giovani, accompagnati da carri musicali e uniti da un solo obiettivo, quello di divertirsi ballando. E fin qui nulla di anomalo se non fosse che, come spesso accade nelle nostre comunità, la soglia tra il divertimento imposto e organizzato e il rispetto di chi pretende toni moderati e la non invasione della propria sfera di libertà è sempre molto fragile.
     La Street Parade si propone, scorrendo il sito ufficiale di presentazione, la diffusione di un messaggio che il Comune ha già tradotto concretamente con le periodiche iniziative di “vivi Bergamo il giovedì”, ovvero vivere la città. L’amministrazione interpreta tale necessità principalmente come stimolo per l’economia locale e per il commercio, coinvolgendo inevitabilmente la popolazione, mentre la Street Parade veicola il messaggio in modo più astratto, ponendolo solo marginalmente come pretesto economico, ma principalmente come occasione di relazione e socialità. L’imperativo categorico dichiarato, non potrebbe essere altrimenti, impone a coloro che vogliono aderire alla Street Parade un atteggiamento civile e responsabile, lontano da eccessi e da degenerazioni, che troppo spesso accompagnano questi eventi inquinati da soggetti spinti dall’ansia dell’apparire e della cultura del “disordine”, inteso come invasione delle libertà altrui e del mancato rispetto delle esigenze della collettività.
     La Street Parade incarnerebbe, per usare le parole del loro sito web, “la rivendicazione di un diritto, quello di rendere la città un luogo accogliente anche per i giovani, un territorio vivo ed uno spazio creativo dove la vita notturna diventa sinonimo di questa vitalità”. Promuovere quindi una cultura del divertimento simile a quella di altri Paesi europei, secondo il pensiero dominante dell’organizzazione, contrasta la scelta dilagante di relegare i locali esclusivamente nelle zone periferiche, di imporre orari di chiusura degli esercizi cittadini, di vincolare l'utilizzo di spazi pubblici a regole severe che non fanno altro che allontanare coloro che vogliono vivere la città. Diritto, insomma, di valorizzare la vita notturna e l'intrattenimento come presupposti per la socialità e pretesa di sganciarsi da limitazioni e dall’esagerato bisogno di quiete.
     Sante e belle parole, verrebbe da dire, che però non tengono conto della potenziale incompatibilità di siffatte richieste con la lecita pretesa di riposo e di normalità della cittadinanza. Secondo questo encomiabile ma utopistico progetto, la città subirebbe una trasformazione carnevalesca scandita dalla presenza di innumerevoli punti di ritrovo diffusi a macchia di leopardo, che ogni sera intercetterebbero masse di giovani religiosamente assise intorno a tavolini a

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