ARTE POVERA A BERGAMO, ULTIMA TAPPA
                                              di Cristiano Calori

     L’Arte povera approda a Bergamo. L’evento inaugurato il 5 aprile durerà fino al 15 luglio e fa parte del più ampio progetto denominato “Arte Povera 2011”, promosso dal Castello di Rivoli Torino Museo d’Arte Contemporanea e dalla Triennale di Milano, ultima tappa, Bergamo, di questo circuito, che ha toccato Bologna, Roma, Torino, Milano, Napoli, Bari.
     Con un’operazione di cosmesi urbana dunque Bergamo si offre come straordinario palcoscenico alla messa in scena di alcune opere di artisti appartenenti alla corrente dell’Arte Povera.
     La mostra si snoda attraverso un percorso che coinvolge gli scorci più suggestivi della nostra città: in Piazza Vecchia, Jannis Kounellis ha messo delle “Campane” (opera del 2012); all’ex Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti, Gilberto Zorio “Alambicco che soffia nel Pozzo Stella” (2012); al Chiostro di San Francesco le opere di Giovanni Anselmo, “Invisibile” (1970-2007), Alighiero Boetti, “Palla corda” (1985), Giuseppe Penone, “Struttura del Tempo” (1993); al Chiostro di Sant’Agostino troviamo Michelangelo Pistoletto con “I temp(l)i cambiano” (2009); a Porta Sant’Giacomo Luciano Fabro con “Italia-Porta” (2006); al Palazzo del Podestà, in sala Giuristi, Pierpaolo Calzolari “Senza titolo (paravento)” (2001-2002), Marisa Mertz con due opere “Senza titolo” (2010), Senza titolo (s.d.), Mario Mertz “Igloo con Albero” (1969), Pino Pascali “Bachi da setola” (1968), infine Emilio Prini con “Prini e Calzolari ad Amsterdam nel ’69?” (2012); Giulio Paolini ha ideato invece un nuovo lavoro appositamente per la mostra: “Sala d’attesa” (Bergamo, inverno 1944-45), 2012.
     La mostra è curata dal papà dell’arte povera Germano Celant, con Giacinto Dipietrantonio, Maria Cristina Rodeschini e Antonella Soldaini.
     Bergamo “è il gran finale della mostra”, ha spiegato Celant, “perché consente, grazie al contesto di Città Alta così ricco di suggestioni, un notevole potenziamento e una spettacolarità unica per le opere, che potranno dialogare al meglio con la dimensione urbana”. Ciò che rende esclusivo l’appuntamento orobico della rassegna è proprio la possibilità che l’energia degli artisti dilaghi nella città e non resti solo museale. “In Italia c’è sempre il rischio di ridurre tutto quello che è arte all’interno dei palazzi, insomma in forme di cultura aristocratica. Invece la storia dell’arte”, continua Celant, “dovrebbe essere fatta anche nella strada: questo tipo di logica va promossa e il segnale può essere lanciato proprio da Bergamo.”

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