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BIOGRAFIA: GIACOMO MANZONI, "OL MANZÙ"
“La luce, quando si lavora, viene dalle mani.”

                                              di Cristina Mascheroni

     Artista eclettico dai molteplici talenti, Giacomo Manzù (pseudonimo di Giacomo Manzoni) fu uno scultore italiano. Nato a Bergamo il 22 dicembre 1908, padre il calzolaio e sagrestano Angelo Manzoni e madre Maria Pesenti, Manzù imparò presto a lavorare ed intagliare il legno, appassionandosi, durante il servizio militare, prestato a Verona nel 1927/28, all’arte con lo studio delle porte di San Zeno e dei calchi all’Accademia di Belle Arti Gian Bettino Cicognini.
     Dopo un breve soggiorno a Parigi, nel 1929, si trasferì a vivere a Milano, dove gli venne commissionato il suo primo lavoro, la decorazione della cappella dell’Università Cattolica di Milano, lavoro che fu realizzato tra il 1931 e il 1932, ma l’artista era affascinato da tutte le forme d’arte, non solo la scultura: nel 1933 Manzù allestì la sua prima esposizione, alla Triennale di Milano, una serie di busti in bronzo che gli valsero l’apprezzamento da parte della critica e nell’anno successivo tenne la sua prima mostra importante, alla galleria “Cometa” di Roma, insieme al pittore Aligi Sassu, mentre con l’opera “Gesù e le pie donne” vinse il premio Grazioli dell’Accademia di Brera (Milano) per lo sbalzo e il cesello.
     Il decennio 1938-1948 fu un periodo di forte impegno sociale per Giacomo Manzù, in aperto dissenso con la vita politica del Paese; parallelamente, la sua attività di scultore si fece particolarmente accesa. Nel 1939, diede inizio ad una serie di bassorilievi in bronzo nei quali risaltava in maniera particolare la morte di Gesù Cristo, un forte simbolo di protesta contro la brutalità del fascismo e degli orrori della guerra. Opere quali le “Deposizioni” e le “Crocifissioni”, facenti parte della serie “Cristo nella nostra umanità”, ottennero un grande successo di pubblico e di critica, tant’è che nel 1948 Giacomo Manzù venne insignito con il Primo Premio per la Scultura, ex aequo con Henry Moore, alla XXIV Biennale di Venezia: tale riconoscimento, il più prestigioso della cultura italiana, fu attribuito allo scultore come “ringraziamento” per aver espresso, tramite le sue opere, il dissenso contro la guerra e il sopruso nazista. Successivamente, l’artista realizzò una fusione in bronzo, il “David” (1939/40), opera etichettata dai critici come “un capolavoro compositivo nelle piccole dimensioni in contrasto con la monumentalità della scultura ufficiale”.
     Nel 1940, Giacomo Manzù ottenne la cattedra di scultura all’Accademia di Brera, ma, causa dissensi con le autorità accademiche in merito al programma di studi da seguire, dopo pochi anni si spostò ad insegnare all’Accademia Albertina di Torino, città che dovette lasciare nel 1942 a causa della guerra, per ritirarsi infine a Clusone, in provincia di Bergamo.
     Nel 1943, l’artista partecipò attivamente alla rinascita culturale post guerra di Roma, prima con una mostra alla Galleria dello Zodiaco presentata da Alberto Moravia, poi vincendo, quello stesso anno, il Gran Premio della IV Quadriennale di Roma con la scultura in bronzo “Ritratto Francesca Blanc”. Anche la sua passione per la grafica si fece più intensa quell’anno, ricordiamo, fra tutte le sue illustrazioni, quelle per le poesie di Giuseppe Ungaretti, “Le Erbe” (pubblicate nel 1942), e le acqueforti per le “Georgiche” di Virgilio.
     Nel dopoguerra, Giacomo Manzù tornò ad insegnare a Milano, all’Accademia di Brera, dando inizio ad un nuovo prolifico periodo. Infatti, vinti i tre concorsi indetti dal Vaticano nel 1947-48 e 49, Giacomo Manzù ebbe l’onore, nel 1952, di realizzare la Porta della basilica di San Pietro a Roma, opera che riuscì a concludere, dopo un lungo e travagliato lavoro, nel 1964. In quegl’anni la sua fama si estese a livello internazionale e la sua attività fu costellata da mostre sempre più numerose, in Italia quanto all’estero, e da numerose onorificenze. Fra le molteplici opere letterarie illustrate da Manzù ricordiamo, di quegli anni, le litografie realizzate per le poesie di Salvatore Quasimodo “Il Falso e il Vero Verde”, edite nel 1956.
     Nello stesso anno (1954), l’artista di dimise nuovamente, questa volta in maniera clamorosa, dalla cattedra di scultura dell’Accademia di Brera, a causa di una accesa polemica con il Ministero della Pubblica Istruzione per il rifiuto da parte dell’ente del progetto di riforma dell’Accademia delle Belle Arti, proposto dallo scultore. Manzù accettò allora un nuovo incarico, l’insegnamento all’International Sommerakademie di Salisburgo, dove tenne corsi insieme al pittore Oscar Kokoschka, dal 1954 al 1960. In questa bella città, Giacomo Manzù conobbe la modella Inge Schabel e ne rimase stregato. Ella divenne compagna, modella e musa ispiratrice, nonché amatissima moglie dell’artista, un amore celebrato dallo scultore in molti poetici versi a lei dedicati; da questa solida unione nacquero due bambini, Giulia e Mileto. Inge e la sorella Sonja furono anche le modelle ispiratrici di molte opere di Giacomo Manzù. Dal punto di vista artistico, invece, in quel periodo lo scultore si dedicò alla realizzazione della Porta della Cattedrale di Salisburgo, chiamata la “Porta dell’Amore” (1955).
     Nel 1958, salì al soglio pontificio Papa Giovanni XXIII, che aveva già precedentemente conosciuto l’artista quando era Patriarca di Venezia: l’amicizia e il rispetto che legava i due uomini fece sì che il progetto della Porta della basilica di San Pietro, da crearsi sul tema iniziale del “Trionfo dei Martiri e dei Santi della Chiesa”, prendesse finalmente corpo e l’intervento del Papa fu decisivo per sbloccarne la sua realizzazione. Il 28 giugno 1964, il suo successore, Papa Paolo VI, inaugurò solennemente l’opera, chiamata “Porta della Morte”. Nello stesso anno, Manzù si ritirò in campagna, in una villa vicino ad Ardea (Roma), in una località dal nome Campo del Fico, oggi ribattezzata Colle Manzù. È proprio in questo luogo che l’artista realizzò importanti opere, quali “Amanti” (1968), “Giulia e Mileto in carrozza” (1966) e “Striptease” , tutte ispirate al sereno momento che egli stava vivendo, conciliato dall’amore della moglie Inge e dei figli.
     Nel 1966, il Manzù venne insignito del Premio Lenin “per il rafforzamento della pace fra i popoli”, premio che egli devolse in beneficienza a favore dei feriti e dei bisognosi della guerra in Vietnam. Sempre in tale occasione, l’Accademia delle Arti di Mosca e di Leningrado allestì una sua mostra personale, presentata da Salvatore Quasimodo, alla quale fece seguito una personale al Museo Puskin di Mosca e una all’Hermitage di Leningrado, ma la sua inesauribile verve artistica non si fermò lì e lo scultore realizzò, nel 1968, la porta della chiesa di St Laurenz, a Rotterdam, denominata “Porta della Pace e della Guerra”.
     Dopo circa dieci anni di realizzazioni di bassorilievi, tornò al primo amore, l’opera a figura intera, realizzando lavori ispirati dalla moglie o da altri temi velatamente più erotici, quali “L’Artista con la modella” e “Gli Amanti”. Nel 1969 si appassionò anche di scenografia e realizzò costumi e scene per alcune fra le opere più importanti di Igor Strawinsky, Claude Debussy, Christoph Willibald Gluch, Richard Wagner e Giuseppe Verdi. Durante quegli anni, furono pubblicate diverse monografie celebranti il culto dello scrittore, famoso, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.
     Nel 1979, in occasione del suo settantesimo compleanno, a Firenze ebbe luogo una sua personale all’Accademia delle Arti e del Disegno e nel catalogo della mostra vennero raccolte le rare dichiarazioni che l’Artista abbia mai rilasciato sulla sua opera.
     La fama di Manzù arrivò anche in Giappone, dove l’artista è considerato come uno dei tre “Maestri” della nuova scultura italiana, insieme ad Arturo Martino e Marino Marini.
     Nel 1973, fu allestita, al Museo di Arte Moderna di Tokyo, una grande sua personale e, a partire dal 1984, una mostra itinerante percorse tutti i musei del Giappone, mostra organizzata dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, alla quale l’artista aveva donato, nel 1979, l’intera sua collezione di opere, la “Raccolta amici di Manzù”, fondata nel 1969 ad Ardea. Per celebrare il successo nel Paese del Sol Levante, l’artista donò alla raccolta di Ardea altre tre sue nuove sculture: il “Pittore con modella”, del 1954, “La Tebe distesa”, del 1983, ed il “Cestino con frutta”, del 1984, oltre a dipinti ad olio degli anni ’60.
     Nel 1987-88, un'altra importante mostra, questa volta in Gran Bretagna, valse al Manzù il riconoscimento del titolo di membro onorario della London Royal Academy of Arts.
     Nel 1989, a New York, fu inaugurata, di fronte alla prestigiosa sede dell’ONU, l’ultima sua grande realizzazione, una scultura in bronzo alta 6 metri, dal nome “Inno alla vita – Scultura per la pace”.
     Giacomo Manzù morì ad Ardea il 17 gennaio del 1991. Per celebrare il centenario dalla sua nascita (1908 - 2008), la città di Bergamo ha allestito presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea GAMeC la mostra “Giacomo Manzù - 1938-1965 - Gli anni della ricerca”, un degno tributo al genio bergamasco di un artista di respiro internazionale.

 

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