Parliamo di nomi e cognomi.
Sarà un argomento leggero quello che andiamo ad affrontare, ma non è poi così scontato. Ci sono molte persone italiane con due nomi: io, per esempio, sono Graziano Paolo; in verità mia madre mi ha dato anche un terzo nome, Stefano, ma credo che all’Ufficio Anagrafe ne potessero accettare solo due. Un mio caro amico si fa chiamare Gian Marco, diverso da Gianmarco o Gianfranco, che è un solo nome. Qual è quindi il nocciolo della prima questione? È quello di capire quale sia il nome primario. Tendenzialmente si opta per il secondo nome letto o pronunciato, quindi Paolo per me e Marco per il mio amico, invece ho scoperto che per legge vale sempre il primo nome. Chi, come il mio amico, si fa chiamare Marco, ha scelto per conto proprio.
Nel mio caso ho notato però che la gente mi chiama Paolo: perché? Forse perché Paolo è più comune di Graziano? Forse perché crede che il primo nome sia uno sfizio, un prefisso, perché fan tutti così? Onestamente non lo so, ma io sono Graziano e sovente devo correggere chi mi dà del Paolo, ma non mi arrabbio (c’è un perché di questa affermazione, ma lo vediamo dopo).
Vediamo un po’ di regole in merito, ora. Fatevi chiamare come volete sostanzialmente, scegliete in nome che volete per tutti, io sono Graziano, Vava per gli amici, il mio amico ha preferito Marco, una mia amica assolutamente Becki, ma è Rebecca, tuttavia ricordatevi che nelle “cose” ufficiali dovete, dobbiamo, rispettare la legge.
Da un punto di vista linguistico, tanto per iniziare, non si dice “io mi chiamo…”, in che senso…, vi chiamate da soli? In tal caso credo che vi serva un consulto psichiatrico. Si dice, si scrive, “io sono…” o, al massimo, “gli altri mi chiamano.” In questo senso gli altri ci “fanno la barba”: “I am…” o “My name is…” (“Io sono…”, “Il mio nome è…”) in inglese, “Je souis…”, io sono, in francese. Passiamo poi al grande dilemma: “Giorgio Gatti o Gatti Giorgio?” Sempre linguisticamente parlando prima viene il nome, poi il cognome (name, surname per gli inglesi), ma, ufficialmente, è al contrario. Per l’Anagrafe e per il Fisco è necessario prima mettere il cognome e poi il nome, la firma dunque deve essere coerente, ovvero cognome e nome, come per la carta di credito. Chiaramente, il documento che deve essere firmato deve riportare cognome e nome in stampatello, non secondo le regole linguistiche. Naturalmente la firma deve essere coerente con quanto riportato all’Anagrafe.
All’ufficio Anagrafe, appunto, ho scoperto che una volta il secondo nome era quanto riportato dopo le virgole; esempio: Vavassori Graziano, Paolo, Stefano. Dal 2001, il secondo nome come lo intende lo Stato non esiste più. Io sono Vavassori Graziano Paolo, le virgole non si mettono più. Graziano Paolo è il mio primo nome e dovrei riportarlo in ogni documento ufficiale, la mia firma deve essere con entrambi gli onomastici. Ciò significa che mi sbagliavo, è possibile inserire anche tre, quattro onomastici all’Anagrafe, ma è un bell’impegno ed un bell’impiccio per il nascituro. Tornando al discorso della firma, c’è una diatriba in corso: io mi firmo come Vavassori Graziano, ma dovrei mettere anche Paolo, abbiamo detto, solo che se lo faccio la mia firma non è più autentica. La firma è qualcosa di grafico, non linguistico. La mia firma leggibile, come a volte ci viene chiesto, non sarebbe la mia vera firma. Un bel dilemma…
In merito al codice fiscale la questione è ancora diversa. Qualcuno ha sentenziato che non essendoci nel mio CF il secondo nome (linguistico) io sono Vavassori Graziano. Non è affatto vero, sia per l’Anagrafe (ho il passaporto) sia per il Fisco (pago le tasse come libero professionista da 11 anni) io sono Vavassori Graziano Paolo. Il secondo nome per il calcolo del codice fiscale viene usato solo se il primo non è abbastanza lungo. Saranno il luogo e la data di nascita a distinguermi da un normale Vavassori Graziano.
Da un punto di vista sociale non è educato abbreviare il nome di una persona, non solo se la si è conosciuta da poco. Anche senza dare troppa confidenza, molte persone inizieranno presto ad abbreviare il nostro nome. Queste persone io le considero ignoranti, socialmente impreparate, alla stregua di chi non sa quando è opportuno dare del tu a qualcuno. Tutti credono di essere capaci di stare in mezzo agli altri, di lavorare in mezzo agli altri… che ci vuole niente per ricoprire un ruolo che metta loro in contatto con persone nuove ogni giorno… nulla di più sbagliato. Ci si misura esclusivamente con la propria sfera personale, amici, colleghi d’ufficio, ma, sostanzialmente, nella loro vita conosceranno un numero molto limitato di persone per ritenersi capaci di socializzare. Si devono, invece, svolgere lavori come l’agente di commercio, il commercialista, il barista… per conoscere tanta gente nuova e fare esperienza, oppure stare in un ufficio, ma avere contatti telefonici con i clienti, allora sì, solo che molti datori di lavoro pensano di poter mettere chiunque in quell’ufficio “solo” a rispondere al telefono. Invece, ci sono molte regole da apprendere, come quelle sul nome. Dall’altra parte ci siamo noi, però, che abbiamo concesso loro di chiamarci con un abbreviativo. Anzi, voi, perché io l’ho concesso a nessuno. Nessuno mi chiama G, o Graz… (sì, mi arrabbio), io sono Graziano e ho scelto Vava solo per gli amici. Per come sono fatto io, poi, nemmeno con le persone con cui ho confidenza mi permetto di abbreviare il loro nome, se non dietro loro espressa richiesta. Sono così anche con mia moglie; a maggior ragione, proprio perché tutti la chiamano Cri, io sono l’unico a chiamarla per nome; ecco come il normale diventa un tocco di originalità nei confronti degl’altri.
Concludo con il secondo nocciolo della questione, “poca roba”: “e quelli che hanno due nomi per nome e cognome?” Prendiamo, per esempio, due miei conoscenti, Roberto Valentino e Giovanni Graziano. La regola linguistica ci indica che il secondo nome è il cognome, ma se loro si firmassero come con il Fisco? Nel primo caso Roberto è il cognome! Meglio sempre chiedere con cortesia allora, solo che… “è vero che da quando siete nati tutti vi chiedono qual è il nome e quale il cognome e voi ne avete piene le … arrabbiandovi (ecco il riferimento all’inizio dell’articolo), ma come facciamo noi ad immaginarcelo?”

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