fatalmente, le leggende. Bastava affacciarsi sull’orlo di quel cilindro misterioso perché l’immaginazione prendesse a volare. Quelle finestrelle impilate, aperte come vuote occhiaie sull’oscurità delle viscere terrestri, qual vortice abissale, che sembrava affondare alle radici del mondo, nell’ignoto, o forse in un altro mondo… negl’inferi, nell’aldilà? Ed ecco rivivere nella fantasia del popolo le antiche leggende delle “discese nell’Ade”: le imprese di Ulisse e di Enea, il regno ipogeo visitato da Cristo, l’inferno di Dante, le visioni di Bonvesin della Riva e di Giacomino da Verona, e poi Alberico, e Tundalo e San Brandano.
     Sopra tutte quelle reminiscenze ve ne fu una che s’impose e pian piano finì per coniugarsi col fascino del Pozzo orvietano: fu la leggenda, ancor vivissima nel Cinquecento, del cosiddetto “Purgatorio di San Patrizio”, nata in Irlanda molto prima dell’anno Mille, fissata letterariamente in Inghilterra nel secolo XII per opera del benedettino Enrico di Saltrey e diffusa nell’Europa medievale in numerose versioni francesi, provenzali ed italiane. La leggenda, ch’era stata fra l’altro una delle fonti ispiratrici della “Divina Commedia” dantesca, fu ripresa dopo il Medioevo da Calderon de la Barca, che con la commedia drammatica “El Purgatorio de San Patricio” contribuì non poco a “rilanciarla” nell’Europa del Seicento.
     Narra dunque la favola che, verso la fine del quarto secolo dopo Cristo, un giovinetto catturato in mare dai pirati fu venduto a un pastore irlandese. Il fanciullo si chiamava Patrizio ed era destinato da Dio a diffondere in Irlanda il Vangelo di Cristo. Così avvenne; ma per facilitare Patrizio nel compito di convertire i pagani, la voce del Signore gl’indicò una caverna simile a un pozzo, situata in un isolotto del lago Derg, nella parte nord-occidentale dell’isola, e gli assicurò che chiunque vi si fosse trattenuto un giorno e una notte avrebbe ottenuto la remissione dei peccati (da qui il nome di “purgatorio” attribuito a quel pozzo naturale).
     Passarono i secoli e la leggenda fiorì, arricchendosi e complicandosi. Si cominciò a dire che la caverna, profondissima, era in realtà l’imboccatura dell’inferno e s’immaginò la figura di un cavaliere, Ivano, che, persuaso dal consiglio di un santo monaco, un bel giorno decide di avventurarsi nella misteriosa grotta per visitare i regni d’oltretomba e far penitenza delle proprie colpe. Ed ecco subito l’inferno: i diavoli gli si parano innanzi, cercando di respingerlo, ma lui resiste e avanza. Vede le pene orrende dei dannati, tormentati da belve, straziati dal ghiaccio e dal fuoco, appesi con uncini a

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