Come sempre, nei film di Eastwood, i profili dei personaggi e i rapporti che intercorrono tra loro non sono mai banali, anzi, ricchi di particolari e credibili; c’è anche il momento storico relativo ai disastri di qualche anno fa, l’onda anomala, che si presta all’abuso del digitale, e gli attentati nella metropolitana di Londra.
     In effetti, il finale risulta un po’ troppo happy, ma resta il fatto che viene affrontato l’argomento più complesso in assoluto ed è già un bene non precipitare nelle ovvietà. Eastwood sembra fare una scelta e sostenerla con un’argomentazione scientifica, propinata a Marie da una dottoressa che cura degenti in stato comatoso e che vacillano nella zona del dopo-morte. Da qui la denuncia di un mondo di studiosi ai quali la medicina chiude la porta in faccia e la solidarietà verso chi ha vissuto un’esperienza all’apparenza incredibile. Il fatto è che nel film si sa chi è impostore e chi non lo è, e coloro che non sono in grado di distinguere la finzione dalla realtà possono incorrere in un certo disagio. Insomma, il discorso e il senso del film seguono una serie di scelte, che portano di volta in volta a una conclusione e quindi alla fine; d’accordo o no, bisogna aver pure il coraggio di farle e il regista lo fa. Comunque sarebbe anche ora di rendersi conto che Clint Eastwood spesso e volentieri fa delle scelte e non è detto che siano sempre “scorrette”, anzi… Addirittura mi sembra che più volte i suoi finali incontrino il favore dei più, che non è così scontato per un regista rispettato anche dalla critica. Qualcuno avrebbe fatto una scelta diversa nel finale di “Million dollar baby”?
     Molti suoi film sono bellissimi ma non abbandonano lo stampo classico, una sobrietà severa di fondo, così come, del resto, è lui stesso. In un film simile non stupisce la presenza di Spielberg nei panni di produttore esecutivo; in realtà non è la prima volta che i due collaborano a un progetto, c’è un precedente che tratta, coincidenza vuole, lo stesso argomento. Bisogna fare un bel passo indietro fino alla metà degli anni ottanta e calarsi nelle atmosfere surreali della serie, anch’essa prodotta da Spielberg, “Storie incredibili” (Amazing stories), precisamente nell’episodio “Vanessa” (Vanessa in the garden), diretto da Clint Eastwood. Qui Harvey Keitel interpreta un pittore di talento che usa come modella, in ogni dipinto, la sua compagna. Dopo essersi assicurato una prestigiosa esposizione a New York, però, il protagonista perde l’amata in un incidente in carrozza; morta la sua musa, egli rinuncia all’arte e alla vita, lasciandosi cadere in una spirale di depressione e ozio. Brucia tutti i suoi quadri

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