Lentamente emergono tutte le paranoie e le ansie della protagonista, che rivela i suoi punti deboli e i suoi lati oscuri, gli unici reali nemici per la sua persona; incapace di reggere la pressione, Nina si procura ferite graffiandosi la pelle e si sente perseguitata da chiunque la circonda. L’ennesima distrazione è rappresentata da una nuova ballerina di San Francisco, la disinibita e provocante Lilly, ingaggiata per il balletto: Nina è convinta che questo nuovo arrivo sia un pericolo per il suo ruolo da protagonista e ogni tentativo di socializzare di Lilly viene letto come una mossa per spodestarla. In lei Nina vede il suo stesso volto, il suo doppio crudele, ma non si tratta di un dualismo classico, non c’è una parte buona, entrambe le personalità hanno effetti deleteri. Le allucinazioni iniziano a essere terrificanti e trascinano Nina in una spirale di ansia ingestibile, che la porta a ferire la madre oltre a se stessa, fino al punto in cui nemmeno lo spettatore è in grado di comprendere dove finisca la fantasia e dove cominci la realtà.
     Il ritmo si fa incalzante con l’incombere della serata della prima, tra apparizioni bestiali e un’inquietante, ma suggestiva, metamorfosi, favorita dal digitale, di Nina, che si appresta ad assumere le sembianze di un cigno, trasformazione che culminerà nel suo debutto da prima ballerina, in un epilogo straordinario, elegante, accompagnato dalla prorompente di Oajkovskij. Il finale, così come il film del resto, non va raccontato, va visto.
     Davvero una grande conferma per Darren Aronofsky, il quale dimostra ancora una volta di poter dirigere un dramma ambizioso, ma non pretenzioso come poteva essere il suo “L’albero della vita”, che lo stesso Rourke definì “davvero una stronzata!” Semplicemente un ritratto oscuro di debolezza, mediocrità, frustrazione. Non possiamo che attendere con ansia il prossimo.

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