UN PICCOLO RICORDO DI WALTER BONATTI
                                              di Massimo Jevolella

     Ebbi la fortuna di conoscere Walter Bonatti (onore di Bergamo e dell’Italia!) nel lontano 1977. Lui era un alpinista di fama mondiale. Io un giornalista alle prime armi. Ma avevamo due cose in comune: scrivevamo entrambi sul settimanale “Epoca” ed eravamo entrambi molto amici di Vittorio Buttafava, il giornalista e scrittore che allora dirigeva la rivista mondadoriana, e in precedenza era stato per lungo tempo il celebre direttore di “Oggi”. Per alcuni mesi la sorte mi accomunò a quei due personaggi; e insieme a noi, a completare il gruppetto di amici inseparabili, c’era anche un quarto personaggio: il grande inviato di “Epoca” Giuseppe Grazzini, detto Pino, che molti anni prima era stato anche il vero “maestro professionale” di Oriana Fallaci. In questo strano quartetto, io recitavo dunque la parte del giovincello sconosciuto. Accanto a loro, mi sentivo come un nanetto tra i giganti. Avevo il complesso dell’intruso, ma loro mi volevano bene.
     Al di là delle simpatie personali, c’era anche una forte ragione di fondo che cementava il nostro piccolo sodalizio. In quegli anni il mondo giornalistico italiano era veramente saturo e invasato di ideologia. Bisognava a tutti i costi “essere di sinistra” o, perlomeno, far finta di esserlo e assumere comunque degli “atteggiamenti” di sinistra, nel vestire, nel parlare, nel giudicare ogni cosa. Chi non si adeguava, era automaticamente bollato come “fascista”. E la redazione di “Epoca” non faceva assolutamente eccezione a questa regola asfissiante (per inciso: fu questa la ragione che poi mi suggerì di bussare alla porta di Montanelli e del suo “Giornale”). Ma in quel clima da grande inquisizione sovietica, non tutti si sentivano a loro agio. Walter ne soffriva terribilmente e con lui anche Buttafava e Grazzini. Ecco dunque perché diventammo così amici. Non eravamo certo “fascisti”! Al contrario. Ma non sopportavamo il clima ipocrita e “radical chic” che regnava in redazione. E ci consolavamo tra di noi.
     A un certo punto cominciò a diffondersi la voce che Buttafava avrebbe potuto essere licenziato, proprio perché la redazione “di sinistra” non lo sopportava. Per Bonatti fu un duro colpo. Ricordo ancora molto bene la sua disperazione. Temeva di essere “fatto fuori” come un ferro vecchio della cultura non allineata. Cacciato via da gente a cui l’alpinismo, le eroiche esplorazioni e le imprese sportive non interessavano minimamente. Una sera tornavamo in auto dalla Mondadori, tutti e quattro. Pino Grazzini guidava. Io ero davanti, Buttafava e Bonatti erano sul sedile posteriore. Eravamo in Corso Italia a Milano. Saltò fuori il discorso dei

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