“O deserto, paese della mia luce, paese della mia sofferenza”. Questa frase, stampata sulla copertina del libro “L’ultimo volo”, di Sylvain Estibal, ha attirato subito la mia attenzione durante una vacanza. In mezzo ad un gelido oceano del Grande Nord, il calore del deserto è arrivato, piacevole come una brezza da paesi lontani. Un libro insolito, breve, asciutto e nervoso, come solo il Ghibli, il vento del deserto, sa essere.
Febbraio 1962. Una squadra dell’esercito francese scopre in pieno deserto la carcassa di un aereo da turismo, precipitato nel 1933 e mai ritrovato. Si tratta del velivolo di Bill Lancaster, pilota della RAF realmente esistito e famoso per le sue acrobazie da scavezzacollo. Partito da Lympne, in Inghilterra, e diretto a Città del Capo, in Sudafrica, Lancaster tenta di battere il record di trasvolata solitaria detenuto dalla Signora Mollison (pseudonimo di Amy Johnson). Egli non è nuovo a queste imprese, infatti fu il primo pilota a volare dall’Inghilterra all’Australia con un passeggero a bordo, la signora Chubbie Miller. Successivamente al suo record, lavorò per diversi anni negli Usa e vinse anche un premio da duecento sterline per una trasvolata sull’America.
Questa volta è diverso, l’impresa rappresenta un momento speciale per lui, il riscatto al quale egli tiene per uscire dallo scandalo che qualche anno prima ha travolto la sua vita. Lancaster fu coinvolto in un omicidio che scandalizzò i moralisti dell’epoca: fu trovato accanto al corpo senza vita di Harold Fraser, giornalista americano presunto “amante” di Chubbie Miller, proprio nella stessa abitazione della Miller. Lancaster fu accusato di omicidio, ma, dopo un processo durato 15 giorni, venne riconosciuto innocente e rimesso in libertà. Il caso fece scalpore perché Lancaster e Miller, sebbene ambedue sposati, erano follemente innamorati l’uno dell’altra. Grazie all’affetto dei propri genitori ed al loro sostegno economico, Lancaster tenta di battere il record per ristabilire l’integrità della sua persona, travolta dallo scandalo, e per riabilitarsi come pilota.
Il libro si dipana fra i pensieri di Lancaster e le voci “fuori dal coro” di personaggi, apparentemente secondari, che piano piano compongono il puzzle di questa incredibile storia.
Causa una tempesta di sabbia, l’aereo di Lancaster precipita in pieno deserto, lontano dalla pista e fuori dalle rotte di terra e cielo. Cinquanta gradi all’ombra e otto litri di acqua: questo è lo scenario dove il protagonista si ritrova a fare i conti con se stesso e con la propria vita. Si trova nel Tanezrouft, l’incredibile deserto sahariano dove neanche i nomadi osano avventurarsi. I Tuareg, famosi predoni del deserto che conoscono tutte le astuzie per sopravvivere in un ambiente così ostile, se ne tengono ben lontani, sanno che un uomo che si perde in una landa così desolata e priva di qualsiasi riferimento geografico, solo sabbia a perdita d’occhio e nessuna oasi per innumerevoli miglia, può impazzire dalla sete e cadere preda di deliri allucinanti, fino ad arrivare a una morte atroce.
Questo deserto è attraversato da una pista, la Transahariana, segnata anni prima dai militari francesi, ma anche quest’ultimi lo temono perché sanno che cadere, anche poche miglia fuori dalla pista, significa andare incontro a morte certa.
Purtroppo Lancaster si fa “fregare” dal suo carattere irresponsabile. Tutto preso dalla frenesia del suo riscatto, parte per questa impresa trascurando le più elementari norme di sicurezza: nessuna assicurazione che copra le spese per la ricerca e il salvataggio in caso di avaria e nessun localizzatore a bordo per essere rintracciato, in quanto ritenuto troppo pesante e quindi in grado di rallentare la sua trasvolata. Solo lui, una bussola e la sua incoscienza. E il Tanezrouft non avrà pietà di lui.
Le pagine scorrono, i pensieri deliranti che l’uomo affida ad un diario nei giorni che precedono la sua morte si intrecciano con i ricordi delle persone che lo hanno amato e che sperano nel suo ritorno. Il tutto inframmezzato da articoli (veri) dei quotidiani dell’epoca, che documentano la vicenda, uniti ai dispacci telegrafici delle squadre di soccorso (anch’essi, reali) che si apprestano ad effettuare comunque delle ricerche in pieno deserto per ritrovarlo.
Lancaster prega e spera, prega per la sua vita dissennata e spera di avere un’altra possibilità nella vita per essere capito. A sostenerlo, nell’evitare di cadere nella follia di quelle ore nelle quali la temperatura supera i 60° e l’aria diventa liquida, c’è l’amore per Chubbie Miller e la speranza cieca che ripone in lei, in quanto la ritiene l’unica in grado di salvarlo. Entrambi sposati, durante la trasvolata in due verso l’Australia l’amore divampa rovente e li conduce ad abbandonare le rispettive famiglie per vivere la propria passione. Si tratta di una relazione scandalosa che la società perbenista dell’epoca non può approvare, ma per i due protagonisti di tratta dell’amore con la “A” maiuscola, quello unico e perfetto che arriva, ti stravolge l’esistenza e non ti fa più dormire.
Anch’essa aviatrice appassionata ed avventuriera, Chubbie Miller farà di tutto per ritrovare l’amato, dal cercare di ottenere un aereo da pilotare da sola per continuare le ricerche che i militari hanno abbandonato, ricerche a suo dire effettuate in modo “superficiale” dal Governo francese, fino ad avventurarsi da sola, a bordo di un cammello, nel cuore del temibile deserto, la dove soltanto il cuore ti può portare. Mettendo a repentaglio anche la propria vita, Chubbie non si ferma e non si dà pace, sorretta dalla cocciuta speranza di ritrovare il proprio amato ancora in vita.
“Chubbie Miller, compagna del pilota scomparso Bill Lancaster di cui non si hanno notizie da parecchie settimane, sarebbe a sua volta scomparsa mentre cercava di ritrovare l’amico” Daily Post, 23 maggio 1933.
“Hurley, sponde del Tamigi. Una strada tranquilla, qualche scoiattolo fra i cespugli di rododendro. Una signora dai capelli bianchi, lo sguardo dolce ed osservatore. I suoi occhi lasciano trasparire una antica pena. È Chubbie Miller, pioniera del volo degli anni ’30 che fece scalpore all’epoca. Ci saluta e si allontana. La porta si richiude su una storia iniziata più di trent’anni fa.”. Daily Post, 20 febbraio 1962.
Un libro particolare, un perfetto intreccio fra verità e leggenda, una storia d’amore estrema incorniciata dal deserto, che si può amare od odiare ma che cambia per sempre le vite di coloro che lo affrontano. Scrittura veloce, scarna ed asciutta, capitoli che scivolano via secchi, pagine sfogliate veloci come dal vento del deserto: il lettore viene avvolto dalle pagine del diario di Lancaster, si stupisce dei fatti narrati dai giornali dell’epoca, si commuove davanti all’amore che spinge la protagonista a cercare di ritrovare l’amato, si indigna per l’atteggiamento passivo delle autorità che, vista la vita dissoluta del protagonista e gli scandali dei quali è stato protagonista, non si impegnano più di tanto nella sua ricerca. Come leggiamo nella “nota dell’autore” questo libro è un resoconto, non un’opera di fantasia, ed è costituito dal diario che il pilota scrisse nei suoi otto giorni di agonia, integrato dal rapporto del soldato Polidori, autore del ritrovamento dell’aereo ed unito agli articoli di cronaca dell’epoca. Tutto il resto, fatti e commenti dei personaggi che ruotano intorno alla coppia Lancaster/ Miller, sono argomenti inventati. Se è vero che Chubbie Miller cercò disperatamente un aereo per andare in aiuto del compagno disperso, è altrettanto vero che non riuscì ad ottenere alcun velivolo per condurre le ricerche in proprio. Pertanto, non poté nemmeno sposare il meharista (soldato esperto di attraversamento del deserto con i cammelli n.d.r.) Réné Chauvet, arruolato nell’esercito francese e narratore “fuori campo” della ricerca nel Tanezrouft del pilota scomparso, nonché suo unico aiuto nella sua disperata ricerca nel deserto dei resti dell’aereo.
Da notare anche la nota dolce-amara che accompagna l’apertura di ogni capitolo, rappresentata dai proverbi tuareg che meglio di ogni altra parola al mondo esprimono la verità racchiusa in ogni granello di sabbia.
Il deserto come scenario di un amore infinito, così come infinite sono le sue dune.
Cristina Mascheroni

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