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"...sento che tutto è sempre più compresso, più veloce,
e in tutto questo la musica non so dove sia finita..."

                                  di Paolo Acquati

     Davide Rossi nasce a Bergamo il 13 luglio 1971. Apprende per 10 anni il pianoforte classico e si perfeziona poi nello studio dell'armonia jazz. Nel 1994 entra a far parte di due note blues band, la "MODEL-T-boogie" e "Dr. Faust & CHB", attive su tutto il territorio nazionale, con le quali "si fa le ossa" in più di 200 locali. Di lì a breve si esibisce al "Pistoia Blues Festival", al "GiroFestival", al "Porretta Soul Festival" supporter di Percy Sledge ed a Reggio Emilia supporter di Zucchero Fornaciari. Queste esperienze gli aprono le porte del circuito live milanese: ha inizio così la sua carriera di musicista professionista.
     Nel 2000 si trova al fianco di Garbo e Max Pezzali al “105 Night Express” ed in tour con l’australiana Monica Anderson, voce del singolo “Maria”. Nel 2002 entra a far parte della Big Band “L’Augusto Martelli mariposa”, poi con Paolo Meneguzzi a “Top of the Pops” e “Cd live".
     Nel 2004 registra l'album "Storie di chi vince a metà", di Riccardo Maffoni (vincitore di Sanremo 2006 categoria Giovani) ed è in tour ed al "TimTour" con Syria. Nel 2005 partecipa a "Buona Domenica" al fianco di Laura Pausini per la presentazione del singolo "Vivimi" e a “Quelli che il calcio” con Lisa Stansfield. Successivamente va in tour con Francesco Facchinetti (Max De Angelis / FlaminioMaphia) e Paolo Meneguzzi al "Favola Tour".
     Il primo maggio 2007 partecipa con Loredana Berté al tradizionale Concerto per la Festa del Lavoro in piazza San Giovanni a Roma ed in estate è in tour con la stessa. Registra poi, all'organo Hammond, il singolo dell'album "e2" di Eros Ramazzotti "Il tempo tra di noi". Nel 2008 il leggendario armonicista SUGAR BLUE (Rolling Stones) lo arruola alle tastiere nell'EUROPEAN TOUR. A marzo del 2009 entra nel progetto "Past : Part 2" e debutta al Teatro Gaetano Donizetti di Bergamo.
     È di pochi giorni fa l'ultima "fatica discografica": registra l'album “Con la giacca di mio padre” di Luca Marino, prossimo partecipante a Sanremo 2010 con il singolo “Non mi dai pace”.
     Partiamo dai tuoi esordi, come nasce l'amore fra Davide Rossi e la musica?
     “Forse è nato prima di me, prima ancora che io nascessi. Se penso alle prime immagini che ho della vita mi ricordo io, in un auto, che ascolto la musica proveniente da un palco vicino e su quel palco c'è mio padre che suona. Lui ha avuto sempre una grande passione: la musica. È nato povero, in un paesino povero, durante la guerra, ed ha avuto sempre un sogno: la musica e me lo ha trasmesso sicuramente. Anche mia madre ha dato il proprio contributo, perché anche a lei piace molto la musica e quando in casa faceva le pulizie ascoltava da Bob Marley ad Ella Fitzgerald fino ai grandi del jazz. Poi c’è mio nonno, che in occasione dei pranzi e delle cene in famiglia si metteva a cantare. Ovunque io andassi c'era sempre un pianoforte, magari nessuno l'aveva mai suonato, però c'era. Quindi penso di essere proprio nato con la musica nel cuore e sono cresciuto con questi flash di musica, l'ho mangiata, l'ho vissuta quando andavo ai concerti di mio padre e poi salivamo in macchina per rincasare e la mattina successiva andavo a scuola, avevo una doppia identità: umano e alieno; alieno è il musicista che di notte si traveste e questa è un'immagine che a me piace molto.”
     “Il primo vero incontro con la musica lo posso raccontare attraverso il ricordo del batterista della band di mio padre, che durante la pausa di un concerto mi fece sedere al suo posto e io, all'età di 5 anni, feci un samba sul rullante e tutti dissero: ‘È proprio lui! È l'erede!’ Intuendo che potessi avere ‘qualcosa’. L'anno dopo, a 6 anni, io ero il batterista della band di mio padre. La mia vita sul palco è nata così, di giorno il bambino che va a scuola, fa la vita da bambino, e la sera (per me era notte) sul palco a suonare alle feste popolari. C'è una registrazione fatta in casa da mio padre di quando avevo 7 anni (fatta di nascosto perché io volevo essere un bambino come gli altri, non volevo i ‘superpoteri’) in cui ho fatto un assolo alla batteria di 20 minuti. Ascoltandolo ancora oggi risulta incredibile quello che ho fatto, pur non avendo mai preso neanche un minuto di lezione. È per questo che dico che forse la musica l'ho sempre avuta dentro e quando riascolto questo assolo mi emoziono perché ancora oggi non so da dove sia venuto.”
     Dalla batteria al pianoforte… cosa è successo? E cosa significa per te questo strumento?
     “Per spiegare cosa è successo devo raccontare un episodio: mio padre a quell'epoca era amico di un grande musicista, Franco Ghislandi. Era un nomade, un bergamasco baciato dal talento, aveva moglie e 3 figli, un po' troppo amante del buon vino, però, quando suonava, era qualcosa di incredibile. Io avevo un pianoforte che mio padre aveva barattato con uno dei suoi primi lavori e quello strumento era lì, in casa, e nessuno lo toccava mai. Quando Ghislandi veniva a trovarci si metteva al pianoforte ed io posso dire di aver sentito per la prima volta la vera MUSICA suonata da lui. La sua scomparsa ha lasciato in me questo vago ricordo che io ho vissuto come un messaggio: ‘adesso vai avanti tu’. La frase che meglio lo descrive è: ‘ricordi vaghi di una nobiltà vestita da nomade’. Per me è più eroe lui di chi ce l'ha fatta davvero, era uno che non accettava compromessi. Mi piacerebbe riascoltarlo oggi, dopo che ho fatto tutto il mio percorso. Da quell'incontro ho capito che il pianoforte riesce a racchiudere veramente la musica, non ha bisogno di niente. Mio padre, vista l'attenzione con cui lo ascoltavo, un giorno mi disse: ‘ti ho iscritto a una scuola di musica (nella quale insegnava Ghislandi), ti ho pagato 4 lezioni, non voglio importi niente, se ti piacerà continuerai, altrimenti niente’. Ho fatto la prima lezione con Ghislandi, dalla seconda non c'era più… ho proseguito gli studi con Guido Damani, un grande didatta, e da lì non ho più smesso, facendo anche grandi rinunce. A sedici, diciassette anni preferivo passare le domeniche a studiare Chopin piuttosto che andare al lago con gli amici. Suonare il pianoforte mi faceva sentire speciale, era come aprire una finestra e vivere il mondo che avrei voluto io.”
     “Da un punto di vista didattico ho studiato molto la classica, ho fatto tutto il percorso scolastico e ricordo che all'esame del quinto anno al Conservatorio di Mantova fui l'unico promosso su 22 e la commissione disse che gli altri erano stati bocciati perché avevano ‘eseguito’, in me invece avevano sentito ‘il cuore’ ed è finita con me e il presidente della commissione che improvvisavamo un boogie. Da lì a quello che ho fatto poi, uscendo dai canoni della classica, posso dire di aver fatto tutto da solo, andando costantemente a cercare la musica, perché non ho trovato una scuola, un giro di amicizie, perché a Bergamo siamo piccole oasi. È stato difficile trovare gente che la pensava come me, che cercava di approfondire la tecnica. Il blues, il jazz li ho imparati da solo, ascoltando dischi, provando, ascoltando, sperimentando, suonando.”
     Quando Davide Rossi è diventato un Musicista con la M maiuscola?
     “Mah! A questa domanda è veramente difficile rispondere… Penso che il tempo dedicato alla musica, i sacrifici, le scelte fatte mi portano oggi a dire che forse lo sono diventato nel momento in cui ho deciso di vivere con lei.” Quindi a 7 anni? “Sai, lì non era vivere, era una gita, un'avventura, perché non sei cosciente. Il musicista con la M maiuscola dipende come lo vuoi vedere, nel senso che per gli altri forse lo sono, anzi sicuramente lo sono, perché sanno che vivo di quello, leggono il mio curriculum, vedono quello che faccio, per me è un'altra cosa davvero, cioè veramente il momento in cui ho scelto di vivere con lei; nel momento in cui ho deciso di dedicarmi a questo sono diventato un musicista con la M maiuscola.”
     Raccontaci della tua esperienza sul palco al fianco dei “grandi” della musica italiana e non solo.
     “Partirei col dire che in quei momenti ho capito che anche io avevo un lavoro. Dopo un viaggio molto interiore mi sono reso conto di essere arrivato in alto e quindi, in quel momento, il mio viaggio artistico, dico sempre che la vita è una gita, si era trasformato in un lavoro. Ho nella mente due o tre flash, quelle diapositive che scatti e poi rimangono nella tua mente. La prima risale alla tournée con Syria; posso dire che è stato il mio primo tour vero e proprio, circondato da tutti quei personaggi (da Pier Paolo Peroni a Claudio Cecchetto a Jovanotti) che ti fanno capire di essere entrato nella casta, nell'elite. Quando sali sul palco per accompagnare un musicista di questo calibro ti rendi conto che è tutto più grande, il palco è veramente grande, non è più il palco su cui suonavi circondato dai tuoi amici da cui ti sentivi protetto; lo strumentista più vicino è a 4 metri da te, quindi sei da solo, senti gli altri attraverso i monitor, davanti a te c'è Syria, che canta e magari l'avevi vista poco prima sul palco di Sanremo, e davanti tanta gente di cui non vedi la fine. In quel momento io ho avuto la sensazione che si fosse fermato il tempo, mentre suonavo, era il mio primo concerto ed eravamo a Monopoli nel 2004. Ecco, quel momento l'ho vissuto come la consacrazione, anche se già a partire dal 2000 avevo vissuto diverse esperienze, dallo spot Omnitel all'incontro con gli 883, all'esperienza con Garbo, però quelli per me sono stati episodi. Ti assicuro che il momento in cui fermi il tempo e scatti la diapositiva è bellissimo, perché ti rendi conto di avere veramente qualcosa da raccontare.”
     “Il secondo flash l'ho vissuto con Loredana Berté, sul palco del concerto del primo maggio a Roma, nel 2007, quando il palco ha iniziato a girare mi sembrava di essere un'astronauta sullo Shuttle nel momento del decollo. Il palco si è girato e mi sono trovato davanti una marea di persone, dicono ci fossero sei, settecentomila persone, ed ho attaccato con ‘Il mare d'inverno’, che ha un intro di circa 1 minuto, e ad ogni nota che suonavo vedevo cosa mi succedeva davanti, ti assicuro che è stato un momento di una bellezza e di un'emozione indescrivibili. Con questi due flash spero di essere riuscito a descrivere cosa vuol dire ‘il palco’, mi piace più l'idea di descrivere le emozioni attraverso questi due episodi che non parlare dei singoli artisti con cui ho collaborato.”
     Nella tua carriera si registrano anche parecchie apparizioni televisive, meglio il palcoscenico o la TV?
     “Sono due cose totalmente diverse; uno è ‘il momento’ perché durante il concerto tu non puoi tornare indietro, la televisione è diversa, anche se sei in diretta, perché è tutto confezionato. La televisione ti dà la sensazione di essere un privilegiato, c'è il trucco, hai i pass, hai tante piccole cose che ti fanno sentire appunto un privilegiato. Sotto certi aspetti è anche divertente, perché posso dire che nei passaggi televisivi mi sono sempre divertito; anche l'impegno è minore, perché tante volte sei in playback. Io l'ho sempre vissuta come la consacrazione, il bonus, posso dire che è proprio una bella esperienza. Sul palco ti spogli, dai tutto quello che hai, apri i codici di accesso alla tua anima, la televisione invece rappresenta l'esposizione, l'esposizione del tuo percorso, posso citare l'apparizione a ‘Quelli che il calcio’ con Lisa Stansfield o le partecipazioni a ‘105 Night Express’, che ricordo con particolare piacere perché si respirava veramente musica.”
     A quali progetti stai lavorando?
     “Io penso che quello che hai seminato ti torna sempre indietro. Pochi giorni fa ho terminato le registrazioni con Luca Marino, prodotto dalla Warner, in cui hanno voluto fortemente me al pianoforte, forse grazie al mio carattere schivo, poco propenso al mostrarsi, ed è stato uno dei pochi momenti in cui mi sono sentito veramente capito, in cui ho sentito apprezzata la mia ricerca musicale. Si è trattato della registrazione del brano pianoforte e voce che verrà presentato al Festival di Sanremo. In questo momento della mia vita però il progetto che mi sta più a cuore è PAST PART TWO (una rivisitazione della musica classica in chiave moderna), che condivido con l'amico Fabrizio Frigeni (intervistato da Infobergamo.it nel dicembre 2009) e che, visto dalla mia parte, lo considero come una sfida a quello che è la musica oggi. Ritengo essere il progetto più importante della mia vita in quanto mi rappresenta al 100%.”
     C'è qualcuno a cui pensi di dover dire GRAZIE?
     “Sicuramente devo ringraziare Fabrizio Frigeni. Fino all'età di 23 anni non mi ero mai esibito al pianoforte, perché non volevo farmi sentire, da nessuno, lo suonavo da solo perché mi permetteva di raggiungere una profondità e un'intimità tali per cui non riuscivo a mostrarmi. Casualmente un giorno un amico di mio padre, mentre dialogava con lui, ha sentito provenire dalla mia stanza il suono del pianoforte e mi disse: ‘Cavoli! Guarda che ho sentito che c'è un gruppo che sta cercando un pianista, perché non provi?’ Questo gruppo era ‘Dr. Faust’, una band in cui suonava un chitarrista talentuoso di soli 16 anni, appunto Fabrizio Frigeni. Quindi mi sono recato per l'audizione. Mi piace oggi, a distanza di 20 anni, ricordare che la prima audizione me l'ha fatta Fabrizio Frigeni. Alle 14:00 di una domenica mi sono recato all'Acquario Frigeni, dove mi attendeva Fabrizio (che peraltro io conoscevo perché ero andato a sentire un paio di concerti dei Dr. Faust, concerti che mi colpirono molto perché facevano una musica completamente diversa rispetto a quella a cui ero abituato con l'orchestrina di mio padre), siamo scesi e mi ha detto ‘facciamo un giro in LA minore’. Alle 19:30 è arrivato suo padre a chiedere ‘come va?’ Era scoccata la scintilla: per la prima volta avevo trovato una persona che condivideva il mio percorso, l'incontro con lui mi ha dato la forza e la serenità per esibirmi al pianoforte, ho avuto da subito la certezza di essere rappresentato. La mia nuova vita che poi mi ha portato alle tournée e a tutto il resto è iniziata grazie a lui e adesso sono al suo fianco e lo sostengo e spalleggio in tutte le sue idee perché sono anche le mie.”
     “La mia famiglia ha avuto un ruolo importantissimo in quanto mio padre si è poi realizzato come scultore, mia madre si è realizzata come moglie e madre, ed io alla fine ho fatto quello che loro avrebbero sempre voluto: suonare, perché entrambi hanno sempre avuto questa grande passione per la musica. Hanno sempre creduto in me e mi hanno sempre aspettato, quindi devo sicuramente dire: GRAZIE! Per sempre proprio! Vorrei poi dire grazie a tutte le persone cristalline, vere, che ho incontrato nella mia vita che sono i miei eroi, sono tutte quelle persone che mi hanno fatto capire che la purezza d'animo è fondamentale, sono persone che magari non ce l'hanno fatta nella vita, ma ce l'hanno fatta con loro stessi, sono rimasti quello che volevano essere, hanno lottato contro la vita ma non si sono sporcati, per me la vera ricchezza è questa, essere quello che sei e sapere dire anche di no, sapendo che ti aspetteranno momenti difficili. Se hai qualcosa ce l'hai per sempre, non te lo ruba nessuno. Gli occhi della gente alla fine di un concerto, tutti quelli che hanno capito.”
     A proposito di papà Angelo, raccontaci qualcosa della sua attuale attività artistica…
     “Ogni mattina quando mi sveglio ho davanti a me l'arte. Il genio di casa è lui! Fin da bambino era in grado di costruire qualsiasi cosa, ancora oggi in paese ricordano quando costruì una mietitrebbiatrice realmente in grado di assemblare le balle di fieno. I preti del paese gli regalavano album da disegno dandogli modo di esprimere l'arte che c'era in lui. Faceva il muratore, fino al giorno in cui ha mollato tutto, ha preso un pezzo di legno e ha scolpito Dante, da quel giorno non si è più fermato, continuando a scolpire, raggiungendo una tecnica a livello dei ‘Grandi’ come il Fantoni. La scultura in bassorilievo è morta nel 500/600, ma lui oggi continua a farla vivere producendo opere che poi dipinge con colori anilina, ottenendo grandi consensi (un'importante mostra è stata ospitata dall'ex Ateneo in Città Alta).”
     Cosa pensi del momento che sta attraversando la musica? Quale è la tua “ricetta” per il futuro?
     “Aiuto! Qui è molto difficile per me, sinceramente! Se la musica è arte, se la musica è raccontare, se la musica è comunicare, si dovrebbe partire dal presupposto che non deve esserci una scadenza, non dovrebbe esserci fretta, mentre oggi tutto va veloce, è quasi inevitabile oramai, ti colpisce l'attimo anche se quell'attimo va oltre la tua coscienza o i tuoi canoni, però ti colpisce e tu sei attratto; oggi vieni attratto da quello che va fuori dalle righe, perché oramai abbiamo già visto tutto e quindi dobbiamo ricominciare. Io penso che stiamo veramente arrivando al giro di boa, Andy Warhol disse: ‘in futuro tutti saranno famosi per quindici minuti’ (‘in the future everyone will be world-famous for 15 minutes’ - n.d.r.), siamo vicini a questo… Tutto va veloce e tutto si brucia veloce, anche la musica, oggi un pezzo rimane bello forse per un giorno. Io non giudico e non voglio giudicare però vedo e sento che tutto è sempre più compresso, più veloce, e in tutto questo la musica non so dove sia finita, ci sono dei frammenti di musica, la musica ha bisogno di tempo, oggi è schiacciata, compressa, fa fatica a respirare, però sono fiducioso, perché la fiducia me la dà la gente, la gente che incontro che è consapevole del momento che stiamo vivendo e che non riguarda solo la musica; dobbiamo ricominciare, perché questo andare veloce sta diventando talmente veloce che non ci sarà più, scomparirà da solo, allora ricominceremo a respirare e saper aspettare anche la musica, non so come, non so quando, ma un bel giorno cambierà come diceva Luigi Tenco ‘vedrai, vedrai…’.”

www.davide-rossi.com - www.myspace.com/daverossi71

 

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