invita implicitamente a compiere prima che arrivi quel punto di non ritorno in cui si è andati troppo avanti nel solco tracciato dal cinismo o dalla semplice abitudine.
     Olive è l'emblema di quella provincia americana che ha resistito allo sbandamento arrivato come un vento forte dalle metropoli, soprattutto nell'America post 11 settembre. Se la mitologia letteraria, da King a Pahlaniuk, ci ha sempre consegnato un Maine vagamente noir, con piccoli nuclei delittuosi chiusi tra le mura di casette dalle verande sempre perfette, la Strout ci disegna invece un paese stanco, forse deluso dalla caduta del grande sogno americano, ma mai privo di dignità. La stessa forza dell'aspro paesaggio del Maine è scolpita nei caratteri dei suoi abitanti, discendenti dei primi coloni puritani. Qui le lusinghe del ventunesimo secolo arrivano come il soffio della slavina, perdendo la loro forza di cambiamento per venire spazzate via con un dolente gesto della mano da questa gente solida e con i piedi per terra.
                                                                               Silvia Ferrari

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Recensione, Olive Kitteridge, Elizabeth, Strout, Romanzo, Premio, Pulitzer, 2009