messo in discussione gli schemi della convivenza civile.
     I dietrologi, meno tecnici dei sociologi, potrebbero addirittura sostenere che questa tendenza al torbido, asseverata nelle stanze dei bottoni, sia figlia di quello tsunami giudiziario che negli anni novanta ha travolto tutto e tutti, ridisegnando equilibri, alleanze e condotte e lanciando un messaggio categorico secondo il quale chiunque avesse da allora in poi sbagliato, soprattutto nella vita politica ed amministrativa, avrebbe pesantemente espiato le conseguenze dei propri consapevoli errori. Pronostico, purtroppo, rivelatosi sbagliato, perché le acque agitate si sono poi placate lasciando il Paese di fronte ad una trama di relazioni più consolidata che mai ed allergica, se non indifferente, alla correttezza e al rispetto della legalità.
     Tutto ciò ha inevitabilmente rafforzato il convincimento dell’opinione pubblica che ormai ritiene dilagante la corruzione politica in tutti i settori e a tutte le latitudini, senza che essa trovi un efficace contrasto istituzionale a causa, altresì, della mancanza di un deterrente. I motivi sono facilmente ipotizzabili tanto sono evidenti: la prima anomalia riguarda il sistema penale-giudiziario che se da una parte prevede strumenti che certamente consentono di operare ad ampio raggio, permettendo di avviare indagini, sostenere adeguatamente l’impianto accusatorio, ordinare intercettazioni ambientali, procedere a sequestri, acquisire quanto necessario per perseguire condotte illecite e criminali e giungere ai rinvii a giudizio, dall’altra è singolarmente incapace di comminare sentenze esemplari e di farle soprattutto scontare. All’estero, esempi eclatanti, come i casi Madoff o Enron, rappresentano situazioni improponibili nel nostro Paese ed, anzi, quasi incompatibili con un sistema avvitato su sé stesso, iper-garantista e paradossalmente in disarmonia con l’astratto spirito della legge.
     Il sistema carcerario rappresenta, altresì, un'altra falla del sistema, costantemente monitorata dall’occhio vigile del ministero competente che ritiene la detenzione un istituto quasi antistorico che, tempi e leggi permettendo, rischia di essere riconvertito in una sorta di alternativa premiale a larga diffusione come quella dei lavori socialmente (o apparentemente) utili, svuotando la funzione deterrente dell’espiazione della pena in istituti carcerari. Inoltre, il regime della detenzione quasi mai riflette le reali responsabilità dell’autore del reato, mortificando l’effetto punitivo e vanificando l’azione inquisitoria.

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