Filo conduttore di questa mostra è il metallo. Come ci spiega la studiosa Paloma Carcedo de Mufarech “trasformare una materia prima come i metalli preziosi in un oggetto suntuario è stata un’opera ardua per tutte le antiche culture perché tale azione implica non solo grande competenza tecnica ma anche profonda comprensione dei modelli cosmo-visionali, dell’ideologia e delle credenze religiose del gruppo che lo realizza”.
     Il metallo prezioso veniva utilizzato dagli Inca per realizzare oggetti dedicati alle forme di pagamento rituali (pago) alle divinità. Esso apparteneva al mondo di sotto o “Ukhu Pacha” e i nativi adoravano la Terra dalla quale i metalli provenivano, chiamata “Pachamama” o “Machpapa”, divinità che a seguito dell’evangelizzazione portata dai “conquistadores” spagnoli fu, successivamente, associata alla figura della Beata Vergine Maria. I riti celebrativi che prevedevano l’utilizzo dei pago erano quelli dedicati al culto della Luna, associata all’essere femminile, a celebrazione della fertilità dei cicli lunari i quali influenzavano l’agricoltura.
     Le divinità più importanti per gli Inca furono il Sole o “Inti”, divinità associata all’oro chiamato “sudore del Sole”, e la Luna, “La Mama Quilla”, sua sorella e sposa, associata all’argento chiamato anche “lacrime di Luna”. Il sovrano, denominato Inca, era interamente abbigliato d’oro e la sua sposa, “Coya”, era ricoperta d’ornamenti d’argento, a simboleggiare la natura divina dei sovrani.
     Senza dubbio, si tratta di una mostra avvincente e misteriosa, un incanto luminoso dal quale, poi, si fa fatica a risvegliarsi. Secondo noi, due sono i punti di forza dell’esposizione: in primis il modo con il quale è stata allestita si è dimostrato vincente. Secondo la curatrice Paloma Carcedo de Mufarech “entrando nelle sale espositive, i visitatori possono dimenticare per un istante il mondo che li circonda e, in una sorta di viaggio sciamanico, le loro menti si trasferiscono in un mondo magico (…) verso antiche culture che tanto ci possono insegnare riguardo alla salvaguardia dell’ambiente naturale che abbiamo ereditato”. Per realizzare questo effetto, si è deciso di esporre i manufatti in sale dove la luce è fioca, l’atmosfera è ovattata e il silenzio dei visitatori è di rigore. Solo in questo modo, la magia degli Inca si può avverare.
     Un encomio particolare agli organizzatori e all’ufficio stampa che hanno allestito e curato un ottimo servizio di controllo interno e sono riusciti ad ottenere silenzio e atteggiamento rispettoso dai visitatori all’intero della mostra, prerogativa di musei esteri purtroppo non scontata nelle esposizioni organizzate in Italia. Anche la location è decisamente suggestiva: il Museo Santa Giulia, costruito sulle mura di un antico monastero benedettino femminile, per la sua bellezza architettonica e per la suggestività delle sue sale merita, già da solo, una visita.
     Vi lasciamo con una raccolta di 99 immagini da sfogliare e scaricare.

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