analisi dei dati”, in cui l’autore dimostra come la lettura dei numeri aiuti meglio a comprendere la società piuttosto che lasciarsi guidare dai guru affascinanti dell’opinionismo contemporaneo, i quali snocciolano continuamente sentenze puntualmente smentite dalla storia e dai numeri; a tal proposito il libro di Ricolfi smentisce molte delle Cassandre illustri idolatrate dalla élite dei benpensanti e celebrate appunto in “certi” salotti televisivi.
     Evitando di entrare in meandri troppo complessi di una sociologia spiccia, vorrei citare un film di Ken Loach del 2009: “Il mio amico Erik”, incentrato sulla figura di Erik Cantona, grande attaccante del Manchester United anni novanta e mito popolare che certamente rappresenta e tratteggia alla perfezione quella “working class” contemporanea inglese e non meglio di molte filippiche fatte da radical chic con il cachemere che mai hanno messo piede in uno stadio di calcio o in un pub a vedersi la partita.
     Gli esempi potrebbero andare avanti all’infinito e di certo, quando si parla di calcio e televisione, i due catalizzatori di interesse popolare maggiormente seguiti, le invettive e le smorfie di disgusto si sprecano da parte di un certo conformismo intellettuale. Rimanderei a tal proposito ad un altro libro, scritto a quattro mani da Carmelo Bene ed Enrico Ghezzi, intitolato “Discorso su due piedi (il calcio)”, in cui i due intellettuali per nulla disdegnano o si vergognano a dissertare di Romario, Van Basten, Maradona e tutto il mondo del calcio come metafore della grande tragedia umana… e, guarda caso, a Raimondo Vianello il calcio piaceva parecchio.
                                                   cristiano.calori@fastwebnet.it

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