Partire per rinascere, per alimentarsi dell'entusiasmo della vita emancipata e rinforzarsi, per poi tornare, forti di una nuova consapevolezza, a salvare il figlio è stata una scelta che, anche oggi, nel 2009, molte donne e madri contesterebbero, trovandola egoista e disumana. Ma cos'è, in fondo, la scelta della Aleramo, se non la risposta più onesta, se non giusta, agli stessi dilemmi che tormentano la donna del ventunesimo secolo? Le femministe degli anni Settanta, con un rigurgito di indipendenza, avevano risposto con l'auto-determinismo feroce, con la scelta radicale di occuparsi di sé e solo di sé, rifiutando il ricatto implicito nella responsabilità di una vita nuova; oggi che la maternità non è più vista come un ostacolo in senso assoluto, permane però tutta una serie di barriere mentali e sociali che fanno sentire sbagliata e crudele la donna che non accetta di annullarsi per dedicare se stessa ai figli e alla casa.
     La Aleramo, figlia dell'Ottocento, avrebbe dovuto porsi alcun dilemma, ma accettare passivamente il ruolo di signora del focolare assegnatole dalla Storia; fortunatamente per noi, ha trovato il coraggio di fare la scelta più difficile per una madre, dando inoltre un esempio alle altre donne pubblicando il libro. La Aleramo non era crudele, né insensibile, né priva di senso materno, ma aveva capito che il sacrificio di se stessa è inutile ed improduttivo e che il vero coraggio non è la resistenza stoica nell'autoumiliazione, ma la forza di modificare il proprio futuro, anche se in modo doloroso.
     “Perché nella maternità adoriamo il sacrifizio? Donde è scesa a noi quest'inumana idea dell'immolazione materna? [...] riversiamo sui nostri figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e offrendo un nuovo esempio di mortificazione e di annientamento. Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità?” Interrogativi che, dopo più di cent'anni, sono ancora attuali: perché, per dirla con le parole della scrittrice, “la rassegnazione non è una virtù”. Non lo era allora, e non lo è certo oggi.
                                                                               Silvia Ferrari

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